“In Italia nulla è stabile fuorché il provvisorio” – diceva Giuseppe Prezzolini: una frase ad effetto che denota la profonda conoscenza del nostro Paese da parte del più corrosivo dei “conservatori” all’italiana. Della nostra “provvisorietà” continuiamo a fare sistema, al punto da rendere permanenti alcune norme transitorie poste in chiusura della Costituzione Repubblicana, fondamento dello Stato italiano. Tra queste un significato del tutto particolare ha la XII disposizione, la quale vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
I quasi settantadue anni trascorsi dalla promulgazione della Costituzione sembrano essere passati invano se ancora oggi la materia è oggetto di un timore reverenziale decisamente fuori tempo massimo. L’argomento è ancora tabù. Vietato discuterlo. Ancora di più immaginarne la definitiva archiviazione. Il fascismo – si sa – rimane uno spettro da agitare alla bisogna, ben al di là della sua reale (ed organizzata) esistenza. Serve per ricompattare inusuali fronti resistenziali, in grado di spaziare dall’antagonismo più radicale alla cultura liberal, inglobando pattuglie di opinionisti a corto di argomenti. La maggioranza del popolo italiano assiste sgomenta e sempre più dubbiosa, in cuor suo convita che quella norma transitoria andrebbe finalmente archiviata, riconsegnandola alla Storia.
Renzo De Felice, non proprio uno storico “qualunque”, ci aveva provato, dall’alto della sua Cattedra, una trentina d’anni fa, cercando di dare sostanza ad un dibattito mai effettivamente affrontato, in un’intervista concessa a Giuliano Ferrara e pubblicata dal “Corriere della Sera” (“Le norme contro il fascismo ? Sono grottesche, aboliamole”, 27/12/1987).
Allora eravamo all’ennesimo (ancora provvisorio) passaggio istituzionale. De Felice bene puntualizzò i termini della questione, proprio inquadrandola nella crisi della Prima Repubblica e nella necessità di una “rottura” ideologica sulla via di un autentico riformismo (“Se la Nuova Repubblica, o la grande riforma, ha da essere qualcosa di serio e non il rappezzo di qualche regolamento parlamentare, allora è importante che la rottura, anche sul piano intellettuale, investa alcune delle pigrizie ideologiche che hanno permesso il logoramento quarantennale di questa classe dirigente”).
A margine della “provocazione” defeliciana intervennero intellettuali collocati su opposti versanti ( da una parte Paolo Spriano, Enzo Forcella, A. Galante Garrone, Norberto Bobbio, dall’altra Augusto Del Noce, Domenico Settembrini, Indro Montanelli, Ernesto Galli della Loggia), segno della necessità e dell’importanza del dibattito.
A sintesi del confronto lo stesso De Felice concesse una nuova intervista (“La Costituzione non è certo il Colosseo”, “Corriere della sera”, 7/1/1988), fissando quattro elementi di fondo: l’antifascismo non può essere una discriminante per stabilire che cos’è un’autentica democrazia libera; non tutti gli antifascisti sono democratici; l’opposizione concettuale fascismo-antifascismo impedisce di fare un discorso in positivo sui veri valori democratici; l’antifascismo come ideologia ufficiale rischia di indebolire la democrazia, in quanto non ne affronta le odierne difficoltà.
“Se non si vuole cambiare nulla – concludeva De Felice – vuol dire che la Costituzione è considerata come un monumento archeologico. Dunque è giusto non toccare nemmeno un sasso, sennò Italia Nostra interviene e sono guai. Ma io pensavo, al contrario di certi suoi custodi ufficiali, che la Costituzione fosse una cosa viva e vivificabile: questo è il mio modo di rispettarla”.
Oggi, a settantadue anni dall’ entrata in vigore della Costituzione italiana, le sue norme “transitorie” non sono abrogabili ? Chi ha paura del “ritorno” fascista ? Chi teme la piena, completa consapevolezza storica dell’Italia. E la nostra democrazia è ancora così gracile da avere bisogno di certe “norme transitorie”? Le domande, a tanti anni distanza, conservano invariata la loro attualità. Nell’anno dell’anniversario defeliciano riaprire il confronto vorrebbe dire affrontare alcuni dei nodi strutturali del nostro Sistema-Paese. Per farla finita con l’antistorica norma transitoria e provare a ridare nuovo slancio e senso ad una democrazia oggettivamente in affanno, eternamente condannata a vivere con il torcicollo e dunque a non guardare al futuro.
Opinioni giuste e condivisibili alla luce del buon senso e della verità storica, le due cose di cui sono affatto privi quasi tutti i ns. politici!
Sempre onore a R.de Felice,uno dei pochi storici, seppur ebreo ed antifascista,a non subire la “vulgata” della storiografia comunista.