Il segreto è tutto nel gioco di gambe. Questa massima aurea, che da sempre circola negli ambienti della nobile arte, deve aver condizionato a tal punto i pesi massimi del renzismo da trasformarsi nella loro condanna. Sembra ancora di vederli, i tanti boxeur della Leopolda, sgambettare sul ring con movimenti repentini da sinistra a destra – ma così tanto a destra da sconfinare nel berlusconismo più deteriore in salsa Dem – sicuri di riuscire in questo modo a disorientare l’avversario. Peccato che ad ogni finta, ad ogni improvviso spostamento, ad ogni scatto di lato, arrivava loro, puntuale, un poderoso uno-due in pieno volto a metterli sistematicamente al tappeto con il ko tecnico.
Già, perché con buona pace di Verdini – il “secondo” che dall’angolo continuava a suggerire di “legare” con il Nazareno – gli unici che Rocky Renzi e i suoi riuscivano davvero a disorientare non erano gli avversari, ma soltanto i propri elettori. E hai voglia a sentirti dire “Non fa male” quando ti arrivano certe cartonate sul muso, tipo quella del famigerato referendum costituzionale del 2016 che a Matteo Balboa è costato titolo, cintura e pure le mutande. Superfluo anche “contare”, perché arrivato sotto la quota dei 20 punti percentuali alle politiche dello scorso anno, il nostro ex campione di Pontassieve non si sarebbe più rialzato dal tappeto neanche con l’intervento di una gru.
Così è arrivato il momento di Martina che la faccia da pugile suonato ce l’aveva già in dotazione e dunque partiva decisamente avvantaggiato. Finalmente una scelta azzeccata dal Pd. Se anche il buon Martina a fine mandato si fosse ritrovato coi connotati cambiati lo avrebbero notato in pochi e in ogni caso gli sarebbe andata di culo: sicuramente peggio di come era prima non sarebbe potuto diventare.
Naturalmente i risultati non hanno tradito le attese e Martina, in un annetto di reggenza Dem, ha preso tante di quelle legnate che neanche Brumotti in un’intera stagione di Striscia. Roba che, conciato com’era, alle primarie del mese scorso nessuno tra gli avventori dei gazebo è stato in grado di riconoscerlo (questo tra l’altro spiega chiaramente come abbia fatto a raggiungere quel risicato, ma tutto sommato ancora dignitoso, 22 per cento delle preferenze). Ad aggiudicarsi la sua invidiabile eredità (quando si dice baciati dalla fortuna…) è stato quindi Zingaretti con il 66 per cento dei voti. E anche stavolta nessun’altra scelta poteva essere più appropriata: quando a forza di cazzottoni ti hanno fatto ingoiare tutti i denti cos’altro ti resta da fare se non rivolgerti urgentemente a un odontotecnico?
Sarà dunque proprio Zingaretti a cercare di ricostruire un “ponte” con l’elettorato disperso in questi ultimi anni di naufragio renziano. Niente di definitivo, intendiamoci. Magari giusto un “ponte mobile’ di quelli schifosissimi che i nonni conservavano sotto spirito nel bicchiere sul lavandino, ma di questi tempi bisogna sapersi accontentare.
Del resto, da uno che – a quanto s’è capito – non è riuscito a prendersi neanche uno straccio di maturità e gli è toccato taroccare il diplomino da odontotecnico come una Fedeli qualsiasi, cosa ti puoi aspettare?
*Da Candido di aprile