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Cultura. Vent’anni dopo: Francesco Grisi tra passione e poesia

by Sandro Marano
28 Aprile 2019
in Cultura
0
Francesco Grisi
Francesco Grisi

Vent’anni fa, il 4 aprile del 1999, ci lasciava lo scrittore e critico letterario Francesco Grisi, fondatore del Sindacato italiano liberi scrittori. “Se non amiamo la memoria che cosa, cosa resta?” ci diceva in modo accorato. La sua lezione, umana prima ancora che letteraria e filosofica, resta in tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Ma anche chi non l’ha conosciuto può riascoltare la sua voce leggendo i suoi libri, i suoi romanzi, i suoi saggi. Voglio ricordarlo con questa lettera già apparsa sul n. 56-57 (agosto-dicembre 2000) della rivista La Vallisa.

<< Caro Francesco,

ti ritrovo nei miei ricordi, in alcuni biglietti d’auguri e d’occasione che conservo gelosamente, nei tuoi libri. E mi viene in mente che sei un personaggio. Ma, nel tuo caso, il personaggio è l’uomo. Senza scarto. Il tuo cappello bianco di paglia di Firenze, il tuo tabarro, la tua barba bianca  francescana, gli occhi azzurri ed il sorriso ora bonario ora ironico. E poi. La tua conversazione immediata, a tu per tu, senza remore o riserve, le tue domande che calano improvvise, implacabili, e tutte convergono, mi sembra, sul senso da dare a quel viaggio che è la vita. “La passione. Che cos’è la passione?”, “perché c’è l’esistente invece che il nulla? E, ammesso l’esistente, perché c’è il male e non il bene? L’unica soluzione è vivere nella meraviglia. E  giocondamente ridere dell’esistenza”.  Già, l’ironia! Ed anche la generosità, nell’amore come nell’amicizia. Ti piaceva donare i tuoi libri agli amici con cui conversare. Donarsi, forse perché “l’amore è donare per avere di più”. E guardare all’umanità che si cela dietro il terrorista come dietro il potente non è anche questa umanità? E poi. La tua scrittura, flusso di coscienza, certo, che non rinuncia però alla chiarezza, alla misura, alla poesia. E’ evocativa e carica di simboli: il cappello bianco di paglia, la poltrona nel Tevere, il vento, “un vento chiaro e antico sfiora l’ala di paglia del mio cappello bianco”… E’ lirismo, autobiografia, ironia. Al pari della tua conversazione è immediata, si misura con la cronaca, è ricerca che non finisce mai. “La scrittura è una forma di preghiera nel rifiuto ironico del mondo”.  Anche Pierre Drieu La Rochelle aveva scritto che la letteratura è una forma di confessione, di testimonianza, che sono funzioni preliminari alla preghiera. Senza la tua ironia, però, drammaticamente. “Il pensiero che tutto sia provvidenza mi rende felice”.  E’ vero. Francesco eri uomo di fede, di una fede, però, che si nutriva di dubbi, di incertezze, di interrogativi, di ipotesi in odore di eresia. Che si richiamava all’amato Jacopone da Todi, un cristiano scomodo, un ribelle, un folle, “ma Jacopone era un fuoco… aveva capito che Cristo è risorto sul serio… per lui la morte non esisteva”. A Todi hai voluto che riposassero le tue ceneri… Un grano di follia. “Ma ci vuole la pazzia in mezzo ai robot, ai maxiprocessi, alla telematica. Almeno per rendersi frementi contro la violenza negli ospedali, nei tribunali, nelle carceri. Per difendere l’albero, il cielo, il paese, l’uccello, il silenzio. La pazzia per coloro che soffrono”. Ecco, la missione dell’intellettuale, le sue parole: la sua croce e la sua delizia, la sua responsabilità. “Le parole si intrecciano con le colonne, le case, i tetti, i ponti, le vie, le cupole… Il presente è nella parola” . La parola è vita e fantasia. “La fantasia è provvidenza umana che ci libera dal male”. Eri intransigente, Francesco, in tutto ciò che amavi. E se amavi, odiavi, i luoghi comuni, le falsificazioni, i conformisti che sono di tutte le epoche e di tutti gli schieramenti. “Il cosiddetto cammino irreversibile della storia, più volte invocato, è spesso il comodo alibi dietro il quale si nascondono le consapevoli vendette, la sete del potere, le incapacità a darsi una disciplina… E allora, è cosa necessaria e utile essere più intransigenti di quanto personalmente si vorrebbe. L’intransigenza, in alcune occasioni, può salvare il mondo”. In Maria e il vecchio (1991), il tuo romanzo più bello, di uno scrittore di razza, racconti il dolore e l’amore, il viaggio. Ci sono le tue domande, le tue eresie, le tue contraddizioni. La vicenda del prof. Francesco Malaparte, il protagonista, tuo alter ego, si svolge attraverso due poli: da un lato il padre morente, dall’altro l’incontro con Maria Sedara, una giovane donna, ex allieva ed ora terrorista. Ma il padre non è solo il padre biologico. E’ anche il passato, l’infanzia, la storia, la cronaca, ciò che ci circonda. E Maria? E’ la donna, la seduzione, la carnalità, il fascino, il mistero. “Aveva negli occhi il mare”, dici nella stupenda chiusa del romanzo. “La vita è un cerchio”, “la vita si vive vivendo”. Il tuo segreto? Eri innamorato della vita.

Cordialmente. Sandro Marano>>

@barbadilloit

Sandro Marano

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Tags: BarbadilloDestrafrancesco grisisandro maranosindacato libero scrittori

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