L’Italia e l’Europa, ad oltre mezzo secolo dal termine del Secondo conflitto mondiale, non hanno ancora “digerito” il passato che non passa. I conti con il fascismo non sono stati ancora chiusi: al Ventennio si guarda ancora o in termini assolutamente denigratori o, al contrario, apologetici. La dimensione emotiva tende, nonostante il trascorrere dei decenni, a prevalere e ad estremizzare i giudizi su tale periodo storico. Si badi! A volte la dimensione empatica può svelare quanto sfugge all’obiettività dello sguardo impersonale, scientifico. Lo dimostra, non ultimo, il libro Adesso parlo io. Un Mussolini rivoluzionario, scandaloso e sconveniente del critico e neofuturista ferrarese Roberto Guerra. Il volume è da poco comparso nel catalogo della Armando editore (pp. 128, euro 12,00). Si tranquillizzi il lettore! Non si tratta di un testo meramente elogiativo dell’operato del Duce, nostalgico e politicamente orientato. Nelle sue pagine l’autore tenta un’operazione inusitata, cogliere nell’azione di Mussolini la dimensione propriamente poietica, creativa, demiurgica sia in senso politico che intellettuale.
Tale intento, lo si evince già scorrendo le prime pagine di Guerra, costruite su una prosa dal tratto sincopato, aforistico, nella quale non viene meno, per questo, l’affabulazione della narrazione. Il lettore, pertanto, è accompagnato dall’autore in un viaggio nel quale incontrerà uomini politici e di cultura che hanno segnato, con il loro agire, il secolo XX e gli esordi del XXI: Gramsci, D’Annunzio, Marinetti, Craxi, Prodi, Boldrini, Marconi ed altri. Guerra estremizza, rispetto al Duce: “altre analisi […] altrove pubblicate, riclonando il ‘compagno Mussolini’ metaforicamente proprio come simbolo misconosciuto nient’affatto reazionario ma rivoluzionario” (p. 9). Il neo futurista di Ferrara ci dice, e tale affermazione è coraggiosa, che Mussolini è stato, nella realtà dei fatti, rivoluzionario, e per questo tentò effettivamente di porsi oltre la destra e la sinistra, realizzando una prassi politica nazional-popolare e tradizionale, che avrebbe potuto incontrare sulla propria strada l’esperienza teorico-politica di Gramsci. Ciò spiega il sottotitolo. Una tale esegesi risulterà sicuramente sconveniente e scandalosa per l’intellettualmente corretto (di destra e di sinistra).
Se la cinematografia contemporanea si è cimentata nella presentazione del ‘ritorno’ di Hitler, Guerra, alla luce di quanto su esposto, precisa: “Hitler come Stalin era un criminale, il duce fu anche un rivoluzionario e rivolto al futuro. Un ben altro ‘ritorno’” il suo (p. 9). Date queste premesse, lo scrittore esplicita le proprie intenzioni narrative e di critica sociale: “Optiamo per una cifra multitasking, anche letterario aforistica, futuristica appunto per chiudere il cerchio, immaginando quasi quel che scriverebbe oggi il duce, con il suo indubbio pulsionale stile giornalistico […] sul Retroventennio e soprattutto sul nascente XXI secolo” (pp. 9-10). Non un lavoro storico in senso proprio, quindi, ma un testo sul presente ed aperto al futuro.
La prima parte del volume è incentrata sulla discussione dello spazio della politica. L’occasione è fornita dalla presentazione dei personaggi di primo piano citati, delle loro idee, intenzioni e realizzazioni. Ne emerge un quadro desolante e fallimentare, dal quale in pochi si salvano, poiché la politica del secolo breve è stata pensata in termini dicotomici, destra contro sinistra. Ciò ha permesso il realizzarsi di una serie di statolatrie, il cui momento apicale, è il caso di rilevarlo, si dà nel mondo attuale, nel quale si è manifestato, al termine dell’era degli stati nazionali, dello stato leviatano, il potere soft della governance transnazionale, vera prigione senza muri. In essa gli ultimi, non solo in termini materiali, ma anche in termini di possibilità culturali e comunicative sono silenziati, azzerati nella loro minorità. E’ la condizione vissuta da chi si pone oltre i confini dell’intellettualmente corretto.
Per lasciarsi alle spalle tale impasse è necessario recuperare alla politica quella dimensione creativa, ben simbolizzata, suggerisce Guerra, dalla sfida alle stelle di cui si fecero interpreti Marinetti e i futuristi. Esilarante, in tal senso, è la discussione di un episodio accaduto a Milano nel 1933, riguardante la caduta di un presunto UFO, che gli consente di valorizzare la parodia di un attore dei nostri giorni “Fascisti su marte” Con linguaggio colorito il nostro autore sostiene che nella realtà contemporanea: “il razzo neofuturista oggi multiplo esiste già in volo verso orizzonti […] magari dialettici con certa neotradizione 2.0”. Si fa interprete, il critico ferrarese, dell’incontro dell’avanguardia con la Tradizione: per dirla con altri autori gravitanti in consimili aree estetiche, nostra meta non può che essere un “Antico-Futuro”. Guerra ci pare dare a tale progetto una torsione accentuatamente libertaria, transumanista e tecno-creativa. Prende, inoltre, le distanze dalle posizioni neofuturiste espresse da CasaPound, rispetto alle quali asserisce: “certa presunta sinergia CP futurismo non esiste è una […] mistificazione orwelliana quasi” (p. 121).
Al di là dei singoli aspetti della ricerca presentata in questo libro, che si possono condividere o meno, ciò che ci pare rilevante di esso sta nell’avere individuato quale necessità imprescindibile, il recupero della dimensione poietico-demiurgica della politica, che può realizzarsi solo ponendosi oltre il logocentrismo dominante la modernità.
…Porsi dimensione poietico-demiurgica della politica, che può realizzarsi solo ponendosi oltre il logocentrismo dominante la modernità.
Punto.
In principio la Parola !?
Boh , chissa , dove , quando?
Platone , Derridda?
Annamo bene, annamo proprio bene ( cit della mitica Sora Lella) per uscire dalla Mitologia