Stavo scrivendo qualcosa sul Papa, a seguito di alcune sue recenti uscite, quando mi è piombato sulla testa e sul cuore il macigno di Notre Dame in fiamme. Mi è parso l’ennesimo segnale che il cammino della Chiesa sembra si stia smarrendo in una selva oscura: la nera cornacchia che aggredisce la candida colomba appena librata in volo dal balcone di S. Pietro; la folgore che colpisce la cuspide della Cupola più importante della Cristianità, e ora la cattedrale dedicata alla Madre di Cristo avvolta dalle fiamme, per di più all’inizio della Settimana Santa. E su quest’ultima tragedia, nulla più che un formale comunicato del Vaticano e il silenzio di un Pontefice che pure non risparmia esternazioni.
Ma torniamo a noi: la foto di papa Francesco chino a baciare le scarpe di due leader africani ha fatto il giro del mondo, suscitando reazioni e commenti diversi. Non è la prima volta che il Capo del Cattolicesimo divide il suo popolo e questo, di per sé, non pare un segnale positivo per la Chiesa, già da tempo in profonda crisi. L’umiltà è esercizio lodevole per un curato, ma non per un Sommo Pontefice, specie nei confronti di seguaci di altre religioni: e se è vero che Cristo lavò i piedi, lo fece con gli Apostoli, ma accettò che la donna cospargesse i suoi con unguenti profumati.
Il Vicario di Cristo è chiamato ad un arduo compito: imitare il suo Modello e porsi, a sua volta, come esempio per il gregge di cui è pastore. Certo, a differenza di Gesù, il Papa è stato ed è anche Capo di Stato, anzi, Sovrano: una prerogativa che, da quando gli è stato sottratto il potere temporale, è stata ridimensionata, ma che continua ad accomunarlo al Figlio del Padre Celeste. L’immagine di Cristo Re appartiene infatti ad una consolidata iconografia e nasce dalla genealogia del Bambinello, ancor oggi, nei canti della Settimana Santa, acclamato come figlio del re Davide e fatto oggetto di doni insieme regali e sacerdotali da parte dei Re Magi.
Già papa Francesco ha rinunciato ai segni della regalità fin dagli esordi del suo pontificato; ma non sembra aver rinunciato ad esercitare un potere più discreto ma non meno efficace ed occhiuto, soprattutto nella gestione dell’apparato gerarchico e nelle scelte dei collaboratori destinati a ruoli apicali, tutti in linea con la sua interpretazione del Vangelo e della missione della Chiesa. Sempre per restare nella sfera “politica”, certe sue sortite amplificate dai media del mainstream non a caso sono state etichettate – con la semplificazione spesso interessata dei media stessi – come frutto di convincimenti “di sinistra”. In particolare, la sua insistenza sulla necessità dell’accoglienza indiscriminata – che lo ha portato spesso a interferire, criticandone le linee guida in materia, nella politica del governo italiano – rivestono con tutta evidenza un carattere divisivo.
Ma c’è di più, stavolta in ambito dottrinario e pastorale. Troppo spesso appare tiepido, se non apertamente ostile, a parte della gerarchia e dei credenti, in materie delicate e cruciali per un cattolico, quali la difesa della vita e le persecuzioni dei cristiani nel mondo, l’indissolubilità del matrimonio e la tutela della famiglia, la difesa dell’identità cattolica e il ruolo stesso del Pontefice (“chi sono io per giudicare?”, ebbe a dichiarare a proposito di omosessualità, dimenticando che la funzione eminente del sacerdote – e quindi anche del papa – consiste, secondo la Parola di Gesù, nel “legare o nello sciogliere“ in terra quello che poi sarà “legato o sciolto” in Cielo).
Certo l’insegnamento di Cristo, che si esprimeva per parabole e per simboli, si presta ad ogni interpretazione: per sua natura, il simbolo si sottrae ad ogni procedimento razionale. Qui basterà ricordare come il Vangelo abbia legittimato, nella storia, accezioni contrastanti, ad esempio in materia di pace e di povertà. Assunto come immagine dell’Uomo di pace e di misericordia (altro tema caro a Francesco), in non pochi brani della Buona Novella Gesù parla della spada (non sono venuto a portare la pace, ma la spada; vendete il mantello e comprate una spada). La stessa esortazione a porgere l’altra guancia – peraltro smentita dal papa, che, dichiarò, avrebbe dato un cazzotto a chi gli avesse offeso la madre – rimanda più alle discipline iniziatiche, imperniate sul fiero autocontrollo di sé, che non ad un irenismo imbelle. Quanto alla misericordia, più di una volta sembra non esservene traccia nei Vangeli, quando si parla di macine al collo di chi procura scandalo con i fanciulli, quando si devastano i banchetti dei mercati nel tempio (a proposito di pacifismo tout court…), quando si ricorda che la via della salvezza è stretta.
Riguardo poi alla povertà e al cammello nella cruna dell’ago, vale la pena di sottolineare che i “ricchi” condannati da Gesù sono soltanto quelli attaccati alle cose terrene – fosse pure soltanto la ciotola di Diogene – e che la povertà diventa un merito soltanto quando alla ricchezza si rinuncia, come fece Francesco d’Assisi, e non quando essa appare come uno sciagurato destino e si risolve in disperazione o invidia sociale.
Ancora, alla spicciolata: la recente uscita rivolta ai giovani sul sesso, che secondo Francesco, non deve essere un tabù, pone qualche interrogativo sul significato e sui limiti del fornicare; la pretesa misericordia verso i divorziati mette in discussione l’indissolubilità del matrimonio; i moniti sull’accoglienza senza se e senza ma, (come se per gli Stati valessero gli stessi criteri adottati per le singole persone), finiscono per avallare disagi e ingiustizie per migranti e “accoglienti”, senza contare il depauperamento delle nazioni di partenza, private delle risorse più vitali, così come lamentato da illustri porporati soprattutto africani.
Insomma, questo Pontefice sembra caratterizzarsi meno come Pastore e guida che non come seminatore di dubbi, di confusione e di divisione. “Ci siamo dimenticati di Dio!”, tuonava dal balcone di S. Pietro il “Papa giovane” del televisivo Sorrentino: troppe volte anche Francesco, magari nel nome della carità e dell’umanesimo, sembra anche lui indurre alla dimenticanza del Padre e del suo Regno; un po’ come poche volte in questi giorni, nei commenti televisivi, è risuonato il nome della Vergine, a cui pure è dedicato il tempio devastato dalle fiamme, e visto più come contenitore di opere d’arte e luogo di eventi laici, quali gli Stati Generali prerivoluzionari o l’incoronazione di un Imperatore.
Una vergogna ed uno smarrimento che crescono di giorno in giorno…
Ma chi vi dice che El Pampero creda in Dio? Io penso che lui creda solo nelle lasagne delle monache del Santa Marta Residence, il che sarà terra-terra, ma le vedi e le mangi, mentre Dio… boh?
E’ semplicemente vergognoso che un capo religioso si inchini e baci i piedi di due esponenti politici laici, a prescindere dal fatto che sono africani. Questo “papa” argentino con le sue discutibili azioni pubbliche sta facendo umiliare il Cristianesimo e la Chiesa cattolica di cui è capo. Non chiamatela umiltà, è semplicemente prostrazione agli altri, che è ben diverso. E Gesù Cristo, che era un campione di umiltà e di santità, una cosa del genere non l’avrebbe mai fatta, neppure davanti all’Imperatore di Roma, pur essendo colui che disse “dare a Cesare quel che è di Cesare, dare a Dio quel che è di Dio”.