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Ritratti/Decennale. Giano Accame, il fascista eretico (apprezzato dalla sinistra)

by Gennaro Malgieri
16 Aprile 2019
in Politica
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Giano Accame
Giano Accame

Il decennale della morte di Giano Accame non poteva essere celebrato meglio. Oaks editrice, infatti, diretta da Luca Gallesi, ha ripubblicato la sua Storia della Repubblica (pp. 439, € 25,00), dalla fine della monarchia agli anni Novanta, nella quale il racconto  non è  cronaca asettica e tantomeno propaganda di parte, ma interpretazione acuta ed appassionata di un tempo scandito da grandi aspettative suscitate da una politica che sembrava a volta banale e contorta ma aveva, con tutti i limiti che qualcuno ancora ricorda, la forza di suscitare passioni e partecipazione popolare. 

Accame (nato a Stoccarda il 30 luglio 1928 e morto a Roma il 15 aprile 2009) era un intellettuale scomodo, un “eretico” che da destra sapeva guardare a sinistra dove era molto apprezzato; non si cullava nelle certezza di una appartenenza definita, ma inquieto s’immergeva nella ricerca di nuovi orizzonti. Veniva dal “mondo dei vinti”, ma non lo cavalcava. Piuttosto esplorava le possibilità di rinnovamento della Repubblica nel segno della stabilità e fu così che incontrò il combattente antifascista Randolfo Pacciardi con il quale intrecciò un proficuo e profondo lavoro di elaborazione in vista della Nuova Repubblica fondata sul presidenzialismo. Non lo lasciò indifferente il “socialismo tricolore” di Bettino Craxi, cui dedicò un volume prezioso ancora oggi al fine di decifrare non un’utopia, ma una prospettiva d’avanguardia purtroppo naufragata per troppe interessate incomprensioni. Immaginò una “destra sociale” che gli attirò l’attenzione di una sinistra colta e non con i paraocchi, ma fu proprio quella “sua” parte politica, cui offrì l’occasione di smarcarsi da sterili ritualismi e irragionevole idiosincrasie ideologiche, che non capì fino in fondo, tranne una minoranza, l’importanza di un dialogo teso a rifondare la Repubblica oltre gli steccati partitocratici che pur censurava, ma nello stesso tempo, riconosceva , come scrive Mario Bozzi Sentieri nella prefazione alla nuova edizione della Storia della Repubblica,  l’importanza dei  dei partiti politici nell’animare il “fervore comunitario” negli anni della ricostruzione.

Il che non gli impediva di denunciare  le contraddizioni del sistema che favorirono lo scollamento comunitario che poi esplose in tutta la sua virulenza agli inizi degli anni Novanta con Tangentopoli. Il vasto sistema di corruzione, come emerge dal libro, secondo Accame era dovuto a questioni di carattere strutturali (la crisi del sistema istituzionale) e di precarietà sociale (le riforme sempre rimandate). Una combinazione esplosiva che avrebbe portato al naufragio della Repubblica stessa, nonostante le speranze accese agli inizi dell’ultimo decennio del secolo scorso.

Fu un “irregolare” Accame. E questo suo libro contribuisce a ricordare un percorso politico che, per quanto segnato da ombre che si sono allungate fino a noi, era definito da concezioni politiche in grado di dare un senso al protagonismo partitico, tanto di opposizione quanto di governo. Senza dimenticare che la decadenza avanzava inesorabilmente senza che nessuno provasse a metterci riparo, tranne forse Craxi che pagò assai caro il suo lungimirante disegno di rinnovamento.

La stringente attualità del “continuismo” della crisi sistemica individuata da Accame, infatti,  è data dai nodi irrisolti tra la spaccatura tra Nord e Sud, dal regionalismo onnivoro, dall’eccessiva  pressione fiscale, dal dilatarsi del debito pubblico per via di spese improduttive e clientelari, dall’abnorme dilatazione della spesa previdenziale, dalle incongruenze del sistema giudiziario, dall’insorgenza della criminalità comune condizionante scelte amministrative e politiche,  dalla soffocante burocrazia, dall’ “indecisionismo” costituzionalmente accertato di fronte al quale le varie Bicameriali per le riforme si sono dimostrate impotenti. 

Ecco dove nasce l’antipolitica e le sue conseguenze. Accame scriveva: “Nel generale tramonto delle passioni politiche le prossime scelte più che a consensi sembrano doversi affidare al contenimento o alla crescita di opposti astensionismi. Il passaggio dall’idea di valore da significati eroici, militari o nella lotta di classe, a più prosaiche valutazioni in denaro ha ridotto nel corso di mezzo secolo le elezioni a gara, peraltro sempre più costosa, tra chi delude di meno o suscita minor tedio”.

Quando se ne andò, dieci anni fa, rimasi sorpreso e sconcertato, oltre che addolorato. Non mi aveva fatto sapere niente della sua malattia. Accame  era un uomo “antico” che manifestava con parsimonia i suoi sentimenti, la delicatezza del suo animo, le intime gioie come le sofferenze più acute. E soprattutto era votato ad una impersonalità attiva che lo portava a privilegiare la diffusione delle idee, la conoscenza, una certa visione del mondo e della vita piuttosto che la rappresentazione di se stesso. Perciò con coerenza non cercava il proscenio, ma  i sentieri impervi che lo portavano di frequente in uno spazio ideale e culturale che ha dovuto faticare non poco per far uscire dall’ombra. 

L’attraversamento del bosco, metafora jungeriana alla quale Accame era particolarmente affezionato, gli ha fatto incontrare i suoi simili e coloro che erano profondamente diversi da lui. Con tutti è riuscito, in oltre sessant’anni di attività intellettuale e politica, a stabilire un dialogo finalizzato al superamento delle lacerazioni proprie della modernità fino a trovare sintonie quasi irreali in un modo dominato dalle apparenze. È stato così che s’è imposto, nonostante le diffidenze dominanti, all’ammirazione di coloro che non ha mai reputato nemici e neppure avversari, ma soltanto di opinioni dissimili dalle sue. E per questa via, certamente non agevole, forse più di altri della sua generazione ha contribuito alla legittimazione di quella che può darsi impropriamente chiamavamo “cultura di Destra” al tempo delle contrapposizioni radicali e delle feroci discriminazioni civili. Ma il cosiddetto “superamento degli steccati” per Accame non è mai stato l’alibi per annacquare le sue idee. Si metteva all’ascolto e riusciva a cogliere le contraddizioni degli interlocutori più attrezzati, ma in buona fede, volgendole a vantaggio di coloro che non avrebbero mai dovuto avere cittadinanza nell’Italia egemonizzata dall’ideologia marxista ed azionista. A dire la verità, le definizioni non piacevano molto ad Accame il quale, da intellettuale raffinato, era capace di intendere le ragioni degli altri, di storicizzarle, di farle confluire nel grande mare di una cultura nazionale da ricomporre pena la fine della stessa idea di nazione. C’era un’ansia pacificatrice in Accame, insomma, che non si esauriva nell’attività di giornalista, di saggista, di animatore culturale, di agitatore di questioni “cruciali”, di rivisitatore di autori scomparsi dai cataloghi dei grandi editori.

Quando nel 1980 gli chiesi di scrivere la prefazione al mio saggio su Carlo Costamagna, suo amico e maestro, uno dei precursori del presidenzialismo e della critica alla partitocrazia, fu particolarmente felice perché l’occasione gli parve propizia a saldare un vecchio debito di riconoscenza con uno dei più grandi pensatori del Novecento, ma anche perché, attraverso lo studioso ligure, poteva dimostrare quanto la cultura italiana fosse immersa in quella europea. 

Negli anni Settanta, alla corrente culturale della Nuova Destra; diresse  il “Secolo d’Italia” dal 1988 al 1991; scrisse libri che hanno lasciato il segno; sostenne dibattiti sulla modernizzazione delle istituzioni fedele a quel presidenzialismo colto a piene mani dalla ricordata collaborazione con Pacciardi, introdusse soprattutto giovani studiosi alla familiarità con Ezra Pound, il grande poeta americano, riguardato come critico dell’economia capitalista e soprattutto nemico dell’usura.

L’eredità di Accame è nella sua opera e nel suo esempio. A ottant’anni era un vecchio ragazzo, fedele agli ideali della sua giovinezza e ad una storia che viveva nelle sue carni. 

(Da Il Dubbio)

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Tags: anBarbadillodestra socialefascismofascistaGiano Accamemsipoliticarsisecolo

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