La casa editrice Oaks ristampa “Storia della Repubblica” di Giano Accame, un saggio storico-politico di grande valore sull’Italia
L’Italia stenta a fare i conti con la propria Storia: Risorgimento, unificazione nazionale, Fascismo, Resistenza, Ricostruzione, Prima Repubblica sono passaggi epocali con cui gli italiani hanno ancora difficoltà a confrontarsi. Su di essi la stessa storiografia è spesso reticente. Altre volte divisiva, incapace di ricomprendere in una visione più ampia il percorso ultra centenario che va dall’unificazione nazionale al Terzo Millennio, abbarbicata com’è a visioni di parte, retaggio di usurate appartenenze ideologiche.
Il risultato è stato che, alla ricerca di un “senso”, la storiografia ha perso il bandolo dell’intricata matassa delle vicende nazionali. In particolare di quelle più recenti, segnate da interessi e reticenze ancora “brucianti”.
L’opera di Giano Accame (1928-2009), Storia della Repubblica, lungi da cercare un “senso”, una direttrice di marcia, ha un valore generale, che bene aiuta a ricomporre i diversi pezzi del complesso puzzle della Storia della Repubblica italiana, dalla fine della monarchia agli Anni Novanta del 900.
Pur trasfondendovi la sua esperienza di giornalista e di intellettuale anticonformista, politicamente interno alla storia italiana del dopoguerra, non si può dire che Accame sia un uomo “di parte”. Non lo è almeno per la sua lettura plurale delle vicende prese in esame, rispetto alle quali – come ebbe a scrivere Gaetano Quagliariello, in occasione dell’uscita della prima edizione dell’opera – l’autore sviluppa un sufficiente distacco, soddisfacendo i “canoni della storiografia scientifica per la precisione dell’indicazione delle fonti primarie e per la costante considerazione delle altre opere maggiori dedicate allo stesso periodo”.
Accame insomma non tocca le corde dell’appartenenza, che – in occasione della prima edizione del libro (2000) – avevano fatto scrivere all’editore, nella quarta di copertina: “Questo libro è l’opera di uno storico di destra – se pure questo termine ha ancora un senso – che, basandosi su un imponente materiale di documentazione, ricostruisce oltre mezzo secolo di vita italiana dando ai fatti una interpretazione che fino a pochi anni or sono (Muro di Berlino ancora in piedi) sarebbe stata giudicata eretica”.
Ciò che Accame non asseconda è piuttosto il conformismo corrente, di ieri e di oggi. In questa “Storia”c’è allora tutta la curiosità intellettuale dell’autore: giovanissimo volontario nella X Mas, negli ultimi giorni della Repubblica Sociale Italiana; giornalista, durante gli Anni Sessanta del ‘900, del settimanale nazional-conservatore “il Borghese”, da cui esce non condividendone, nel 1968, le prime analisi sulla contestazione studentesca; collaboratore di Randolfo Pacciardi, eroe antifranchista della Guerra di Spagna, alla ricerca di una via italiana al presidenzialismo di stampo gollista; studioso del “romanticismo fascista”; estimatore del Socialismo Tricolore dalle ascendenze craxiane; fustigatore di un mondo finanziario senz’anima; teorico della “destra sociale” e nel contempo ben attento a comprendere le ragioni dell’avversario, sia esso l’assolutismo liberista o lo spregiudicato ideologismo marxista, seppure in salsa italiana.
Di Accame ci piace ricordare, quasi a simbolo del suo impegno di uomo schierato, ma non chiuso nella sua “appartenenza”, l’immagine del suo incedere con, sotto il braccio, una corposa “mazzetta” di giornali, tra cui spiccava, per il colore paglierino della carta, “Il Sole 24 Ore”, il giornale economico della Confindustria, insieme all’ultimo numero di “Rinascita”, il settimanale del Pci, fondato da Palmiro Togliatti, quasi a rimarcare non solo la sua curiosità intellettuale, quanto l’invito ai giovani che lo seguivano, a mantenere alto l’impegno culturale, non abbassando la guardia rispetto alle emergenze correnti e alle facili polemiche politiche, in un’Italia segnata dalle faide di schieramento e dallo scontro generazionale.
Di questa “visione” Storia della Repubblica è una sintesi esemplare, di metodo e di contenuti.
Non a caso la “Storia” di Accame è debitrice dell’esperienza degliAnnali dell’economia italiana, un’opera, in quattordici volumi, edita, tra il 1981 ed il 1987, dall’Istituto IPSOA, in continuità con le ricerche di Epicarmo Corbino, studioso e politico di orientamenti liberali. Ai primi cinque volumi, che coprivano il periodo 1861-1914, redatti da Corbino durante gli Anni Trenta del ‘900, ne sono seguiti altri nove, a coprire l’arco temporale 1915-1977, elaborati, sotto la guida di Gaetano Rasi, da una qualificata pattuglia di collaboratori, tra i quali anche Accame, a cui era stata affidata la sezione “Il quadro politico e l’evoluzione della società italiana”.
Accanto a specialisti di grande valore intellettuale, quali Giuseppe Parlato, Francesco Perfetti, Guido Pescosolido, Giorgio Vitangeli, Accame – come ha scritto Rasi, ad introduzione di un estratto dell’Opera, dedicata ai primi anni della Repubblica – introduce “alla comprensione degli intenti e dei fatti più specificatamente economici dopo una disincantata analisi politologica e sociologica della vita politica. Senza questa premessa molte vicende economiche apparirebbero prive di significato o addirittura incomprensibili: d’altra parte la storia insegna come la vita economica di un popolo non sia che un aspetto della più complessa vita civile”.
Partendo dall’esperienza, scientificamente testata, degli Annali dell’economia italiana, Accame pone alla base della sua ricerca un’idea di fondo: la cesura avvenuta con la svolta del 25 aprile 1945, attraverso il passaggio da una visione “universalistica” del primato italiano ad un più rassicurante “provincialismo”, dall’idea risorgimentale e poi fascista di un’Italia potenza di primo piano all’aspirazione di un progresso sociale, legato all’allargamento dei diritti civili, della libertà e della partecipazione popolare.
Accame non fa una scelta “di merito”, anche se evidentemente ha un’idea ben chiara dell’Italia che avrebbe potuto essere e non fu. A cominciare dal tema cruciale della Resistenza, mito fondante della Repubblica, che egli reinterpreta in termini inusuali. Senza nulla concedere alla vulgata e alla retorica tuttora correnti, Accame non può non rimarcare la forza d’inerzia e l’istintiva diffidenza degli italiani verso gli ideali e gli uomini della Guerra Partigiana, che – scrive – dietro forme d’abulia e di culto del particolare privarono il Paese dell’ “ … unico dinamico aggregato di passioni civili che le vicende storiche avevano lasciato ancora disponibile al servizio del paese dopo la caduta del fascismo”.
Anche rispetto ai partiti politici e quindi alla partitocrazia, giudicata spesso per i suoi tratti ultimi e degenerativi, Accame invita – in premessa – a non dimenticare il fervore comunitario che animò, nella vita postbellica, le sedi dei partiti, ed il fatto che è anche attraverso le segreterie dei (deprecati) partiti politici e delle loro classi dirigenti che passò la volata della Ricostruzione.
Sul versante economico Accame non sposa tesi preconcette. Erede di una visione “nazional-sociale”, partecipativa e dirigista, egli fotografa la linea liberista della fase postbellica, linea sostanzialmente vincente, in un “mercato delle occasioni”, che chiedeva prontezza e flessibilità, giudicando il Piano Marshall, con gli aiuti statunitensi all’Europa, una sorta di “catena d’oro”, meno pesante di quella che gravava sui Paesi caduti sotto il dominio dell’Unione Sovietica.
È attraverso i diversi tasselli di un quadro complesso, nel quale si sommano fattori politici, economici e culturali, che al lettore viene offerta la possibilità di una lettura sincrona della Storia italiana dal 1946 agli Anni Novanta del ‘900, nella quale non c’è spazio per facili determinismi e moralismi.
Uomo “di destra”, Accame non si sente un combattente tra le rovine, secondo una visione cara a certo tradizionalismo, quanto piuttosto un lettore critico, ma partecipe delle vicende nazionali, sulle quali pesano, in origine, le debolezze “strutturali” della Repubblica, nata nel 1946. Da questo punto di vista Storia della Repubblica ha un’utilità di fondo: in un’Italia dalla memoria corta, più attenta alle cronache che alle sue vicende storiche, essa evidenzia i dati reali di una crescita economica e sociale contraddittoria e disorganica, con le cui debolezze (e le pesanti eredità) gli italiani debbono costantemente fare i conti, non disgiunta da una sostanziale gracilità politico-costituzionale.
Accame le evidenzia nel dettaglio: dall’abnorme sviluppo della situazione previdenziale (che, nel corso degli Anni Settanta del ‘900, vede crescere le pensioni d’invalidità sino a superare quelle di vecchiaia) alla crisi del sistema giudiziario (con l’abnorme lievitazione dei delitti contro il patrimonio, largamente impuniti, e con il consolidarsi della cosiddetta criminalità organizzata), dall’aumento del debito pubblico (“Si devono a Stammati – scrive Accame – col pieno accordo di Ferdinando Di Giulio, ministro ombra del Pci, i decreti per ripianare i debiti dei comuni, aprendo una voragine nel bilancio dello Stato”) agli anni del dissesto cronico e degli scandali (espressione del “caso Italia”, misto di crisi istituzionale e degrado della funzione politica, in una soffocante commistione d’interessi pubblici, partitocratici e privati), punteggiati dallo scandalo Lockheed (legato alla vendita all’Italia di quattordici aerei militari), dai grandi scandali della chimica e delle partecipazioni statali (Montedison), dal caso Sindona (esemplare connubio tra finanza vaticana, potere politico e ambienti di mafia italo-americana) fino all’Irpiniagate, con la pessima gestione dei fondi per il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980.
Quella che emerge – alla fine del lungo itinerario, proposto da Accame – è un’Italia che “galleggia”, per usare un’immagine proposta, in uno dei suoi storici “Rapporti”, dal Censis, un galleggiamento che si è via via cronicizzato, ben al di là dei governi, delle diverse stagioni politiche, delle crisi internazionali, mentre tra la fine della Prima Repubblica ed i passi incerti di quella che è stata annunciata come la Seconda permane quella linea di sostanziale “precarietà” politica che aveva segnato gli anni dal 1948 al 1994 e che rimane ancora un problema aperto.
Se da un lato Accame riconosce i progressi sociali compiuti tra Anni Cinquanta ed Anni Novanta (tra questi: l’allungamento della vita media, la moltiplicazione e diffusione dei redditi, l’estensione della proprietà della casa, l’aumento della scolarità, maschile femminile, l’unificazione linguistica del Paese), d’altro canto l’alternarsi di governi “tecnici” e di governi politici, di centrodestra e di centrosinistra, non ha sciolto i nodi “strutturali” della Repubblica nata nel 1946: identici i problemi sul tappeto (seppure in un contesto fortemente segnato dal ruolo dell’Unione Europea), irrisolta la spaccatura tra un Nord competitivo ed un Sud in affanno, ricorrenti i fenomeni di corruzione, persistente l’insofferenza per l’eccessiva pressione fiscale, soffocante la burocrazia, resa ancor più invasiva da un regionalismo disorganico e contraddittorio.
Sulla base di questo sostanziale “continuismo”, le analisi di Accame e i suoi riferimenti alla crisi strutturale del sistema-Paese mantengono una stringente attualità e sono il viatico permanente di un’Italia in cui – per dirla con Giuseppe Prezzolini “non c’è nulla di più provvisorio del definitivo e nulla di più definitivo del provvisorio”.
Per chi voglia iniziare ad uscire, almeno culturalmente, dalla stretta soffocante in cui provvisorio e definitivo stringono il Paese, Storia della Repubblica può rappresentare un utile strumento di ricapitolazione/ riflessione non banale e non retorico, anche per guardare al futuro dell’Italia con una maggiore consapevolezza dei propri limiti e delle proprie potenzialità.