
Giovanni delle Bande Nere e Società Aeronautica Italiana, il primo un incrociatore leggero classe “Condottieri”, la seconda una immensa fabbrica di velivoli. Cos’hanno in comune? Una guerra, tragica e la rimozione dalla memoria collettiva fino a che l’occhio curioso di ricercatori, appassionati e urban explorer non li ha restituiti al pubblico dominio
La Marina Militare ci ha abituati a riprese subacquee d’eccezione. Due anni fa un batiscafo inquadrò e immortalò le spoglie sommerse della Corazzata “Roma”, una splendida nave da battaglia affondata da una bomba filo-guidata tedesca, il 9 settembre 1943. Una tragedia da oltre mille morti per settant’anni negli abissi e portata alla luce da un team di ricercatori. Poi, qualche giorno fa, il cacciamine Vieste individua e fotografa lo scafo del Cacciatorpediniere “Giovanni delle Bande Nere”, affondato al largo di Stromboli il 1 aprile 1942. Altro dramma con centinaia di uomini tirati giù sul fondo del Mediterraneo, nel corso di un conflitto nel quale gli equipaggi di cacciatorpedinieri e sommergibili svolsero audaci (e talvolta disperate) operazioni di scorta e di combattimento pagando un prezzo molto alto. Giovanni delle Bande Nere docet.
Le suggestive immagini del “Giovanni delle Bande Nere” (da La Sicilia, 9 Marzo 2019)
La campana di bordo, la corona sabauda che sormontava il bompresso della Regia Marina: tutto è al suo posto, perfettamente in ordine quasi che lo scafo sia rimasto in attesa di una rivista per più di sette decenni…

Una scoperta emozionante specie per gli appassionati di Storia che in un dettaglio, apparentemente insignificante, vedono una testimonianza di inestimabile valore. E per chi ha pianto lacrime amare di fronte al “Vota Garibaldi” cancellato dall’amministrazione capitolina, qualcun altro rallenta, parcheggia e fotografa quel singolare “SAI-Amborsini Società Aeronautica Italiana” che campeggia sui capannoni dismessi di Passignano sul Trasimeno, amena località turistica del perugino un tempo polo di costruzioni aeronautiche e sede di un’importante Scuola idrovolanti. E’ qui che fu sviluppato il primo aereo in assetto “canard” (SAI Ambrosini S.S. 4) italiano, nonché numerosi altri prototipi che hanno mostrato al mondo le qualità dei tecnici e dei progettisti nostrani, malgrado un’industria bellica impossibilitata a produrre, su scala industriale, una numero di aerei pari a quello delle potenze alleate.
“Di qui in tempo di guerra usciva un aereo al giorno” ricorda un anziano passante, per venticinque anni operaio alla SAI-Ambrosini “e ogni tanto qualcuno entra ancora, a fare foto (urban explo, nda) hanno trovato anche il mio vecchio tesserino. Però adesso più niente, solo sfascio“.

Sfascio come molti degli immobili-simbolo dell’Italia che non c’è più, fagocitati dal degrado e dalla vegetazione ma che, a differenza del “Bande Nere” e di altri relitti potrebbero essere almeno in parte recuperati come tasselli del mosaico del patrimonio storico-industriale del Paese. Anche se, fra chi vorrebbe sbiancare obelischi e chi sbianca gli slogan del Fronte Popolare l’abbandono e l’indifferenza sembrano essere l’unico destino di queste preziose, uniche testimonianze del passato prossimo italiano.