
EFFEMERIDI – 10 Marzo 1940. A Mosca muore lo scrittore e medico Mikhail Bulgakov.
Era nato nell’Impero russo, in Ucraina, a Kiev nel 1891.
Durante la Prima guerra mondiale fu medico della Croce Rossa, al fronte come volontario e più volte gravemente ferito nella sua missione.
Nel dopoguerra visse relativamente appartato il tempo della Guerra civile, facendo il medico alle prese anche con i suoi postumi delle gravi ferite mentre i suoi fratelli combattevano nelle Armate Bianche contro i bolscevichi.
Con la sconfitta definitiva dei Bianchi, dopo il bagno di sangue che ne seguì e dopo aver cercato inutilmente di riuscire ad espatriare si rassegnò a vivere sotto il regime che aborriva e lo fece nel cuore stesso dell’Unione Sovietica, a Mosca.
Abbandonata la missione del medico si dedicò alla scrittura sopravvivendo come giornalista e come narratore satirico pubblicando brevi racconti.
Un suo lavoro teatrale, “L’appartamento di Zoja”, rappresentato nel 1926 in qualche teatro moscovita, fu intercettato dalla censura che ne impedì le repliche.
Stessa sorte maledetta ebbero gli scritti che lo resero famoso in Occidente come uno dei grandi scrittori del secolo, solo nel dopoguerra, a partire da quel “La Guardia bianca” del quale fu iniziata la pubblicazione a puntate su una rivista nel 1926 che però non vide la fine a causa della soppressione della pubblicazione che ospitava il romanzo.
Sarà pubblicata in edizione integrale solo negli anni Cinquanta.
L’altro suo romanzo più famoso “Il Maestro e Margherita” sarà pubblicato (ma tagliato dalla onnipresente censura) solo nel 1967, cioè quasi trent’anni dopo la sua morte.
Qualche raccolta di racconti riuscì a pubblicarla, tematiche grottesche e fantastiche.
Ma si percepiva che si era in presenza di uno scrittore di quelli che avevano fatto grande la storia letteraria della Russia.
Qualcuno degli amici di Bulgakov lo consigliava di piegarsi, di scrivere qualcosa di gradito al regime comunista, di fare abiura per il passato. Ma lui, imperterrito, continuava a tenere la schiena dritta.
Succede in tutti i sistemi totalitari e anche nelle democrazie in modo ancora più schifoso forse, di avere a che fare con zelanti servi del potere e/o dell’ideologia, pronti e proni a perseguitare l’anticonformista di turno con tutti i mezzi a disposizione di pennivendoli, sbirri e giudici.
A volte ciò avviene all’insaputa e magari contro il volere del dittatore o dei governanti democratici di turno.
E’ più o meno quello che successe a Bulgakov che per fortuna però trovò in Josiph Stalin un protettore al quale non si poteva dire di no.
Un giorno del 1930 in conseguenza di una serie di lettere nelle quali chiedeva alle autorità un posto di lavoro per poter vivere, ricevette una telefonata: “Pronto, sono Stalin. Abbiamo ricevuto la sua lettera. L’abbiamo letta con i compagni. Lei sarà accontentato. O forse vuole davvero che la lasciamo andare all’estero?”.
Lo stupefatto scrittore ottenne un posto di assistente alla regia nel Teatro dell’Arte di Mosca. Gli andò meravigliosamente – almeno apparentemente – se si pensa a ciò che accadeva agli altri dissidenti, ma anche a tanti compagni, finiti nel tritacarne dell’era delle purghe e del tramonto dei sogni rivoluzionari per chi li aveva ancora.
Visse, o meglio sopravvisse, sempre però controllato dalla censura per quei pochi anni che gli restarono prima che sopravvenisse la morte nel 1940.
Ma i suoi scritti furono centellinati e censurati sempre con l’accusa dei critici di essere un apologeta degli anticomunisti bianchi, un rappresentante della “reazione in agguato”, cane da lasciar vivere con una catena corta legata alla sua cuccia.
Dopo la Seconda guerra mondiale, finalmente sdoganato in Occidente, fu riconosciuta la sua enorme grandezza di scrittore.
Ma non era finito lì, con il trionfo postumo del Bene, il suo destino di reprobo.
Dopo la pubblicazione dei suoi Diari e degli inediti, scattò la velenosa accusa di essere stato un antisemita che, dopo ciò che sappiamo oggi delle vicende dei campi. equivale ad una nuova condanna all’oblio.