Il 13 dicembre scorso un articolo del direttore Sallusti tuonava dalle colonne del Giornale
‘Ce li ricordiamo i vaffa all’Europa, le ironie, quei giuramenti sul fatto che «il 2,4 non si tocca, accada quel che accada». Era un bluff, balle che ci sono costate, tra spread, Borsa giù e capitali fuggiti, oltre duecento miliardi di ricchezza svanita. In altri termini, il governo ha giocato con i nostri soldi per farsi bello agli occhi dei suoi elettori. E ancora non è finita. Non solo perché la partita con l’Europa è ancora tutta da chiudere, ma perché uno degli ultimi folli annunci sta per provocare un altro danno in termini di ricchezza e occupazione. È infatti di ieri la notizia che Fiat Auto tecnicamente FCA ha annunciato che bloccherà il piano industriale 2019-2021 se Di Maio non ritirerà la legge che prevede tasse consistenti sulle auto (anche utilitarie) con motori a benzina o diesel, già nota come legge ammazza Panda. Parliamo di cinque miliardi di euro che invece di essere messi in circolo per lo sviluppo saranno congelati nelle casse dell’azienda. Di Maio, con il suo «decreto dignità», ha già ammazzato l’occupazione; oggi rischia di uccidere anche la produzione della prima azienda metalmeccanica’.
Polemica politica a parte, che cosa era successo?
Facciamo alcuni passi indietro.
Il 26 febrero 2018, Anne Hidalgo, presidentessa di C40-Cities (Global Climate Action Summity), sindaca di Parigi e Miguel Ángel Mancera, sindaco di Città del Messico, riuniscono nella Capitale messicana sindaci, imprenditori, esperti, giornalisti per la Seconda Conferenza di Women4Climate. L’evento, sostengono gli organizzatori, ‘servirà per rafforzare le potenzialità delle donne disposte a cambiare il futuro per consacrare la prossima generazione di leader, donne che già stanno lottando contro il cambio climatico e migliorando l’aria che respiriamo. L’iniziativa Women4Climate è una prorità per C40, i quanto si propone di offrire alle giovani di tutto il mondo gli strumenti per convertirsi in vere ‘eroine del clima’.
In quel clima carico di retorica femminista e di passionali sentimenti ecologisti, la sindaca pentastellata di Roma, Virginia Raggi, forse presa da pulsioni salvifiche alla Giovanna d’Arco, decide di voler stare in prima linea nella lotta al diesel, di combattere per la sua sollecita abolizione (senza tener conto di tanti fattori economici e reali) ed afferma, a sorpresa, imprudentemente, che la Capitale metterà al bando l’ingresso nel centro della città alle vetture diesel a partire dal 2024, per abbattere concretamente i livelli di inquinamento! La sua collega di partito, sindaca di Torino, Chiara Appendino, avrebbe probabilmente tenuto conto di una diversa realtà socio-economica, ma la sindaca di Roma risente del vecchio livore, dell’ostilità delle sinistre per le auto private, per i motori. Non pensando neppure che nel 2017 le nuove immatricolazioni di auto diesel nel nostro Paese erano cresciute del 3,8%. E che, a causa dei costi ancora proibitivi, le auto elettriche al momento non costituiscono un’alternativa valida ai motori tradizionali. Bisogna infatti considerare che l’auto elettrica più economica presente sul mercato è la microvettura Smart ForTwo, che ha un prezzo di listino che parte da 24 mila euro.
In qualche modo l’uscita della Raggi trova terreno fertile nel suo partito, emozionalmente assai sensibile alle tematiche liberal, ed apre la strada in materia a quelle che saranno scelte del successivo governo a maggioranza Cinque Stelle, presieduto da Giuseppe Conte.
Intanto il 4 ottobre 2018 il Parlamento Europeo approva, ad ampia maggioranza, target sempre più stringenti sulle emissioni di CO2 prodotte da veicoli per il trasporto di persone e merci. Vota il taglio della CO2 del 20% per il 2025 e del 40% entro il 2030. Decisione che incontra l’ opposizione dei governi delle nazioni appartenenti al blocco comunitario, a partire dalla Germania. Prima della loro implementazione, i nuovi target devono essere sottoposti alle consuete procedure negoziali con i singoli Stati membri.
L’Italia è frattanto impegnata in un duro braccio di ferro con l’UE sull’entità del nostro debito pubblico. Il Governo giallo-verde di Conte pensa di prendere due piccioni con una fava. Vara la famigerata “Ecotassa” che penalizza il settore automobilistico tradizionale, va incontro ai desiderata di Bruxelles e, allo stesso tempo, “progetta di far cassa” (insomma, la solita ‘stangata’) con un progetto di pochi bonus e molti malus per gli acquirenti di autovetture nuove, scatenando forti polemiche ed opposizioni. Dall’ecobonus/sconto all’ecotassa, il passo è infatti breve e pesante: innalzata la soglia delle emissioni dalla quale scatta il prelievo, cioè appunto 160 gr/km. di CO2. Mentre la tassa varierà da un minimo di 1.100 a un massimo di 2.500 euro: tanto dovrà sborsare chi dal primo marzo 2019 comprerà un’auto “inquinante”.
Il 2 dicembre il gelo piomba intorno all’una del pomeriggio, quando la Regione Piemonte diffonde la lettera con cui FCA annuncia che non si presenterà al Consiglio Aperto, convocato insieme con la Città di Torino.
‘In un attimo riemergono le paure scacciate appena dieci giorni fa con la presentazione del nuovo piano industriale, che scommetteva su Torino e sulla sua fabbrica simbolo, Mirafiori, destinate a riconvertirsi ai motori innovativi e alle tecnologie a basso impatto. La nuova vita della fabbrica è di nuovo in bilico. Finché non si fa chiarezza sull’ecotassa che il governo potrebbe applicare sui motori diesel «non saremmo in grado né di confermare il piano industriale, né di proporre scenari alternativi», scrive Pietro Gorlier, responsabile delle attività in Europa, Medio Oriente e Africa. Se il balzello venisse confermato il piano sarà rivisto, annuncia FCA. Salta dunque il Consiglio Aperto, per molti l’occasione di confrontarsi sui punti ancora poco chiari, a cominciare dai destini di Mirafiori, su cui erano previsti due modelli in produzione. Chiara Appendino legge con preoccupazione il cambio di scenario: «È un segnale negativo», commenta la sindaca. «Se il piano di investimenti presentato ai sindacati è solido, FCA continui il confronto con il governo e, una volta chiarite le perplessità, con le istituzioni del territorio». Chiamparino aggiunge: “Automotive e Tav incertezze pesanti per il Piemonte”. Tutto sembra tornare in discussione, come quest’estate, quando nella transizione dall’era Marchionne al nuovo management Torino e il Piemonte chiedevano chiarezza sugli investimenti. Il Presidente Sergio Chiamparino vede nello stop il segno di «uno scenario di incertezza per l’intero settore dell’auto». Ed attacca il governo: «Inquieta questa mancanza di chiarezza sulle politiche per un settore strategico per il Piemonte e l’Italia».
(Claudia Luise, Andrea Rossi, La frenata di Fca spaventa l’indotto: “Il governo alimenta incertezze sull’auto” in: https://www.lastampa.it/2018/12/13/cronaca/la-frenata-di-fca-spaventa-lindotto.html).
La povera Appendino, sindaca di quella che fu “la Detroit italiana”, si arrampica sul vetri: “se il piano è solido il confronto prosegua” azzarda dunque a dire, nella delusione generalizzata, tanto per prendere tempo e compiacere i sindacati.
Il 19 dicembre 2018 viene, in ogni caso, riformulata l’Ecotassa per auto nuove con emissioni da 160 gr/km, ed il vantaggio dell’ecobonus solo se si rottama. Emendamento degli incentivi all’italiana: sostegno da 1.500 a 6.000 € per auto elettriche-ibride e a metano, ma solo se chi acquista dà indietro la vecchia auto. Il prelievo sulle vetture nuove invece varierà da 1.110 a 2.500 € (per quelle che emettono oltre 250 gr/km di CO2). L’UE ordina frattanto un ulteriore taglio alla CO2 entro il 2030. Per i costruttori, significherà scendere dai 95 gr/km del 2021 a 55,5 gr/km. L’Acea: “Sarà un terremoto per l’occupazione”. L’Europa stringe, l’Italia allarga, ma punisce i “ricchi” e, purtroppo, non solo quelli. Il rimedio è forse peggio della misura originaria, notano alcuni. Mentre l’Unione Europea concorda (ma decideranno Consiglio ed Europarlamento) la “mazzata” sulle restrizioni alle emissioni di CO2 (-37,5% nel decennio 2021-2030, partendo dal tetto già stabilito di 95gr/km del 2021; morale si arriverà a 55,5 gr/km!), l’Italia della politica e dei compromessi, modifica l’odiata ecotassa, “salva” le utilitarie e punisce, cioè tassa le macchine di cilindrata superiore fino a 2.500 euro, fissando il nuovo tetto di partenza delle emissioni dal quale scatta il prelievo a 160 gr/km.
Dall’ecobonus/sconto all’ecotassa, il passo è così breve e pesante: innalzata la soglia delle emissioni dalla quale scatta il prelievo, cioè appunto 160 gr/km. di CO2. Mentre la tassa varierà da un minimo di 1.100 ad un massimo di 2.500 euro: tanto dovrà sborsare chi dal primo marzo 2019 comprerà un’auto “inquinante”. Dal novero delle vetture tassate spariscono, per la verità, varie auto piccole e medie che invece rientravano nella precedente versione della norma. Nessuna tassa per chi ha già un’auto: l’imposta dovrà essere corrisposta solo da chi acquista una vettura nuova.
Dura, comunque, la reazione di Case, operatori e concessionari, tramite un comunicato congiunto di Anfia, Federauto ed Unrae.
‘Le analisi della misura nella sua nuova riformulazione, evidenziano come ad essere colpite dal malus, non saranno solo le autovetture di lusso o di grossa cilindrata, peraltro già assoggettate ad una gravosa imposta quale il superbollo, ma anche moltissimi modelli ampiamente diffusi sul mercato, molti con una fascia media di costo sul quale l’aggravio di una tassa di 1.100 euro appare veramente irragionevole. Gli impatti della misura considerata dimostrano che il malus è di gran lunga superiore rispetto alla necessità di copertura del bonus. Una misura così strutturata, appare pertanto socialmente iniqua, poiché richiede a un’ampia fascia di cittadini un importante sforzo economico per finanziare l’acquisto di pochi veicoli. Riteniamo al contrario di fondamentale importanza lo stanziamento previsto a supporto delle infrastrutture di ricarica, a nostro avviso il primo necessario passo che il Paese deve fare per creare le condizioni abilitanti per lo sviluppo della mobilità elettrica’.
Protestano anche i rivenditori dell’usato, a Bruxelles: “L’Ecotassa ci manderà in crisi”, proclamano preoccupati (1 febbraio 2019), cercando di salvaguardare un settore che in Italia dà lavoro a mezzo milione di persone.
FCA gela ancora il governo: “Con ecotassa il piano in Italia è da rivedere”. Scrive Giovanna Stella sul Giornale del 14 gennaio 2019:
‘FCA ha deciso di rivendere il proprio piano di investimenti in Italia da 5 miliardi di euro dopo l’approvazione delle tasse sull’acquisto di auto di cilindrata medio-alta e diesel. A dirlo è stato proprio il ceo di FCA, Mike Manley, parlando con i giornalisti a margine dell’Auto Show di Detroit. “Certamente il piano deve essere riesaminato. È in corso di revisione in questo momento” e “fino a quando la revisione non è finita non posso commentare ulteriormente”, ha quindi spiegato Manley. Le parole di Manley risuonano quasi come un monito. L’ecotassa che tanto sta facendo discutere ha provocato anche la reazione di FCA che per l’Italia aveva in mente un ricco piano di investimenti. “Il piano – continua il ceo di FCA – resta sul tavolo, non sarà bloccato, ma lo stiamo rivedendo”. E ancora ha precisato che “stiamo lavorando per capire come adeguare il piano ai cambiamento nelle condizioni di mercato legate alle nuove regolamentazioni”. Il commento di Forza Italia: “Di Maio è un po’ come Attila, dove passa lui non cresce più l’occupazione. Il Governo, con il M5S in testa, ha voluto introdurre l’ecotassa, aumentando il costo anche delle auto di media cilindrata. Così FCA è stata costretta a ridurre gli investimenti in Italia’.
Forse una semplice scusa. Sullo sfondo la crisi del mercato dell’auto, per la verità non solo in Italia. Nel nostro Paese negli ultimi dieci anni la produzione di autoveicoli è stata in continuo calo, fino a quasi dimezzarsi. Nel 2018 un calo nelle vendite del 3% e nella produzione del 6%, facendo dell’Italia il sesto produttore continentale. Nel 2008 la produzione era di 659.221 auto, nel 2013 di 388.465.
(Cfr. https://www.automobilismo.it/produzione-auto-in-italia-in-continuo-calo-31345).
Ad ottobre 2017 il calo per FCA era a doppia cifra in Italia. Per il Gruppo FCA la caduta delle vendite è stata di oltre il doppio rispetto al calo generale. FCA ha fatto segnare un pesante – 16,71 % ed ha portato la quota di mercato al di sotto del 24 %. Il marchio Alfa Romeo ha registrato un 2018 assai negativo a causa di un vero e proprio crollo delle vendite negli ultimi quattro mesi dell’anno.
All’interno del gruppo FCA pesano, quindi, soprattutto le perdite di Alfa Romeo (- 42,11 %) e di Fiat (- 20,73 %). Solo Jeep riesce a tenere parzialmente a galla il gruppo grazie ad un progresso del 7,3 %. Un dato positivo è stato però rappresentato dai 6,2 miliardi di euro incassati dal Gruppo grazie alla vendita di Magneti Marelli alla giapponese Calsonic Kansei.
Scriveva Giuliano Belfiore il 2 novembre scorso in motori.news.it:
Fiat: non sarà accantonata. Le sorti dei due marchi Fiat e Alfa Romeo non sono mai state tanto misteriose come nell’anno scorso. Rimangono le Fiat 500 e le Fiat Panda, ma alcune novità potrebbero arrivare dopo il 2020. La Fiat Tipo brasiliana rimarrà in produzione sino almeno al 2022-2023 e potrebbero arrivare nel tempo una sostituta della Punto o un nuovo suv. A prendere il posto della Punto potrebbe essere la brasiliana Fiat Argo, unica vettura del segmento B attualmente prodotta da FCA. Come la Fiat 500X sarà ibrida poco dopo la Jeep Renegade, anche il nuovo piccolo suv di Jeep che dovrebbe arrivare entro il 2020 potrebbe veder nascere una sorella Fiat. Un’auto lunga circa 4 metri, con caratteristiche da crossover che permetterebbe a Fiat di ripartire in forze sia con la produzione che con le vendite.
Alfa Romeo: la spinta data da Stelvio e Giulia si sta affievolendo. Per questo il 2019 potrebbe essere l’anno decisivo. Sono sette le novità promesse da Marchionne il 1 giugno scorso. Tre di questi sono restyling. Nel 2019 potrebbe toccare alla Giulietta con i nuovi motori Firefly. Poi nel 2020 sia la Giulia che la Stelvio, con nuovi interni e contenuti interessanti. Le novità a livello di modelli potrebbero arrivare con un primo grande suv di 4,9 metri di lunghezza chiamato Brennero o Castello. Poi in seguito ai restyling del 2020 potrebbe arrivare l’Alfa Romeo GTV, con potenze sino a 550 CV. Attese entro il 2022 anche la sportiva 8C, ibrida da oltre 700 CV ed un terzo suv di dimensioni più contenute.
Lancia: se Fiat non verrà accantonata, forse un minimo spiraglio di luce c’è anche per Lancia. Le possibilità sono ridotte al lumicino, ma non si sa mai. Salvare un patrimonio dell’automobilismo nazionale e non solo porterebbe ad una riconciliazione tra la dirigenza FCA ed il nostalgico pubblico italiano.
(https://www.motori.news/fca-vendite-giu-il-futuro-di-fiat-lancia-ed-alfa-romeo-28267.html)
Tra il dire ed il fare c’è sempre di mezzo il mare. Ovviamente.
Discorso a parte per Maserati. Nel 2014, per il Centenario della Casa, Luca di Montezemolo aveva assicurato a Modena: «I target saranno rispettati», delineando un piano industriale «molto ambizioso e realistico, che sarà fondamentale per far diventare la Maserati un vero concorrente delle grandi case tedesche, e che dirà la sua su tutti i mercati del mondo». Nel 1993 l’imprenditore italo-argentino Alejandro De Tomaso aveva ceduto le azioni al Gruppo Fiat, che a sua volta le cedette nel 1997 alla Ferrari, per ritornare nuovamente a Fiat Group nel 2005.
Intenzioni e progetti, molti ed ambiziosi, ma risultati alquanto modesti. Il secondo trimestre del 2018 ha registrato, e non è stato neppure il peggiore, risultati molto negativi per la Maserati. Il dato complessivo segna un – 41% delle consegne, rispetto allo stesso periodo del 2017. L’origine principale di questo scivolone sta nell’andamento negativo del mercato cinese, dove le statistiche parlano di un calo del 69% (in Cina approdano il 30% delle Maserati prodotte). Nel primo semestre del 2017 le auto del Tridente consegnate nella Repubblica Popolare erano state 25.000, mentre nel primo semestre del 2018 non si è andati oltre le 17.200 unità. Anche in altri mercati il marchio non sta brillando. Negli Stati Uniti, per esempio, a luglio sono state consegnate appena 950 unità Maserati, contro le 1.630 del luglio 2017. Il nuovo ceo di FCA, Mike Manley, pare essere convinto che la Casa ha la possibilità di rilanciarsi, anche perchè il governo di Pechino ha deciso di ridurre dal 25% al 15% le tasse doganali. Comunque, il quadro delle vendite ha avuto pesanti conseguenze sulla vita produttiva, con il rallentamento della produzione della Levante a Torino e ben 3.000 lavoratori in Cassa Integrazione Straordinaria per tutto l’anno in corso.
La FCA, gruppo da 4,74 milioni di unità vendute all’anno (dati 2017), potrebbe mettere in atto una rivoluzione che porterebbe all’addio alla FIAT. Doloroso ma necessario, pare, per recuperare liquidità e liberarsi di un brand che non porta benefici (in termini economici). Il contrario di quanto anzidetto nell’articolo di Belfiore.
Certo che occorre essere dei geni per capire che nelle 500 (del 2007 la prima versione e serie, prodotta in Polonia e Messico, mentre la crossover 500L è fabbricata in Serbia e la 500X a Melfi) la maggioranza degli americani maschi quasi neppure ci entra? Che senso ha continuare a proporla come giocattolo alle figlie sedicenni per andare al collegio? Nelle quali manco entra l’ormai onnipresente cane, se di taglia grande?
Il marchio Fiat anche in Europa potrebbe avere un ruolo sempre più marginale. Il continente nel quale il brand italiano dovrebbe continuare ad avere una certa importanza sarà invece quello latino americano. Che, come con la Tipo, potrebbe pure rifornire la vecchia Europa ed altri mercati. Il crollo delle vendite che sta avvenendo in USA fa del resto ipotizzare a più di uno un possibile disimpegno. “A nostro avviso l’obiettivo finale di Exor (la finanziaria della famiglia Agnelli) rimane la vendita di FCA, anche se non subito”, commentano alcuni analisti: “Ormai raggiunti gli obiettivi societari, prefissati a suo tempo, la necessaria crescita di FCA può realizzarsi soltanto attraverso un’aggregazione; del resto anche Marchionne ne aveva parlato in passato ed un paio di tentativi in questa direzione sono stati già fatti. Il Presidente John Elkann, cresciuto al suo fianco, condividerebbe l’idea”. La nuova generazione degli Agnelli potrebbe essere quella che decide di slegare una volta per tutte le proprie sorti da quelle della vecchia Fiat e da Torino. Che già da tempo ha perso centralità, quasi tutti i dirigenti, gli ingegneri, i designers.
Un secondo, o preliminare, passo sarebbe quello di vendere (o scorporare) Alfa Romeo e Maserati, sulla falsariga di quanto fatto con Ferrari nel 2015. Una mossa che potrebbe aumentare ulteriormente i ricavi, così da concentrarsi sul vero punto di forza di FCA: il Nord America.
(https://www.investireoggi.it/motori/fiat-continua-il-crollo-delle-vendite-in-usa-addio-imminente).
Mike Manley, ceo del Gruppo, ha ammesso, a novembre, gli errori di FCA. Che, pur prevedendo una straordinaria crescita per la Casa del Tridente, è finita con il metterla sostanzialmente in secondo piano. La prima causa è il posizionamento, oggi, vitale per qualsiasi marchio. Maserati nel terzo trimestre 2018 ha visto i suoi ricavi “crollare” dell’87 per cento. Perde profitto e mancano i modelli. “L’errore è stato trattarlo come un marchio da mass-market” ha sostenuto Manley, per il quale “è stato fatale trattare Maserati insieme ad Alfa Romeo, cioè come un qualsiasi brand per il mercato di massa. In questo modo abbiamo ridotto l’attenzione sul Tridente”.
Ma sarà poi vero? Oppure è stato un errore sin da principio cercare d’imporre ai mercati internazionali un marchio che non dice quasi più nulla, assente dal mondo delle corse dagli anni Cinquanta e poi passato attraverso varie vicissitudini societarie? Che non è neppure un sinonimo di stile ed eleganza? E che punta sull’aggressività delle carrozzerie, teoricamente care ai nouveaux riches delle economie emergenti, anzichè su linee pulite e filanti?
Nel nostro Paese, il gruppo FCA ha dunque chiuso un 2018 con un calo netto delle vendite legato, in modo particolare, al calo di vendite del marchio Fiat, che ha vissuto mesi molto difficili. Le riviste specializzate sottolineano che, in ogni caso, il Gruppo FCA continua il suo processo di crescita. Pur se gli ottimi dati registrati negli USA non vengono ripetuti negli altri mercati americani, a parte il Brasile. Il gruppo FCA, infatti, registra vendite in calo in Messico nel 2018 ed un vero e proprio tracollo in Canada. FCA, con un calo della produzione del -6.8% in Italia nel 2018 è tornato al di sotto di quota un milione di unità prodotte. Inoltre, i problemi economici in Turchia stanno creando non pochi problemi alle aziende che lì hanno scelto di produrre auto, tra le quali FCA.
Si ripresenta puntualmente il tormentone: Fiat, oppure Alfa Romeo e Maserati, o tutto il Gruppo saranno effettivamente venduti ai cinesi?
Alfa Romeo e Maserati, in special modo, sembrano interessare i cinesi di Geely, ipotesi già paventata nel 2017, e pure successivamente, anche se sempre puntualmente smentita dal Lingotto.
Tale Gruppo è mondialmente conosciuto e già detiene i marchi Volvo, Proton, Lotus, Polester. Geely acquistando Alfa Romeo e Maserati potrebbe ampliare i suoi orizzonti produttivi. FCA dal canto suo potrebbe “sbarazzarsi” di sette stabilimenti italiani, spesso ostaggio dei fastidiosi sindacati, e far intanto arrivare centinaia di milioni freschi nelle casse della società.
‘Com’era finito ricomincia: l’anno non si apre positivamente per il mercato auto. Le vendite di auto in Italia a gennaio 2019 hanno fatto registrare un pesante -7,6% rispetto a gennaio 2018, contrassegnato da una leggera crescita fortemente influenzata da auto-immatricolazioni (destinate a diventare Km 0) e promozioni consistenti. Nel primo mese di quest’anno nel nostro paese sono state immatricolate 164.864 autovetture, secondo i dati diffusi dal ministero dei Trasporti ed elaborati da Unrae. Non è certo un bel segnale. Questo il quadro, per le prime posizioni:
(Cfr. http://www.autoblog.it/post/967447/vendite-auto-italia-falsa-partenza).
Parlare di FCA come gruppo italiano mi pare un azzardo…
FCA è sempre meno italiana. Lo sappiamo tutti. Tuttavia la Fiat (e con lei Alfa, Lancia ecc.) era “tecnicamente” fallita quando Obama tirò a Marchionne la Chrysler e molti milioni…Marchionne salvò alcuni marchi Chrysler (Jeep, RAM), ma a parte Fiat Brazil non seppe, non riuscì nell’impresa di salvare, recuperare tutte le componenti…
@Guidobono
L’unico alibi che hanno sul fatto che producono sempre meno auto in Italia é quello dell’eccessiva tassazione a cui le aziende vengono sottoposte. In Italia lo Stato tassa le imprese, specie manifatturiere, in maniera troppo esagerata, e la cosa più vergognosa é che le aziende tanto tartassate non vengono aiutate attraverso l’adeguamento delle infrastrutture.
Werner: In compenso la Cassa Integrazione Straordinaria è distribuita con gran generosità (di soldi pubblici)con felicità dell’impresa, dei sindacati, dei lavoratori… Certo, un errore…