In questo terzo articolo dedicato alla festa del Natale e al suo rapporto col complesso della mitologia affronto il tema del Presepio napoletano. A Napoli, almeno in senso storico, è l’aspetto principale della festa; ma non so oggi quanto dell’identità napoletana sopravviva.
Il più bello del mondo si trova nel Museo della Certosa di San Martino. (Altri, alcuni preziosissimi, sono allocati in case private. Un tempo averne uno era un orgoglio patrizio e granborghese.) Questo museo è, per fortuna di chi ama tornarci, pochissimo frequentato. Napoli è diventata una località turistica alla moda. Questo dice la propaganda. Io vedo visitatori percorrerla a piedi reggendo in mano una bottiglietta di plastica dell’acqua minerale: non consumano neanche un caffè, e abitano presso affittacamere abusivi evasori fiscali oggi pomposamente definiti “B&B”. Le navi da crociera sostano in porto con il motore acceso e diffondono per ventiquattr’ore fumi cancerogeni. Il Museo della Certosa è per disgrazia, invece, in buona parte chiuso per carenza di personale. La stessa chiesa, una delle più fastose del mondo ancorché di piccole dimensioni, si può scorgere solo dall’ingresso, così che le cappelle, diverse l’una dall’altra con alto genio e ornate di sculture della scuola berniniana, sono pressoché invisibili. L’arte napoletana dell’ottone e della cartapesta, della tarsia marmorea e del marmo lavorato così sottilmente da diventare una rete, vi trionfa, con la pittura, culmine del Tardo Barocco.
Ma il Presepio “Cuciniello” è di solito contemplabile. Michele Cuciniello, morto nel 1889, architetto, ebbe vita avventurosa. Esulò a Parigi in quanto patriota, e quando tornò nella natia Napoli continuò un’attività di drammaturgo popolare che aveva iniziata nella capitale francese. Raccolse per tutta la vita i cosiddetti “pastori”, come metaforicamente si chiamano i personaggi dei Presepî. Nel Settecento e nella prima metà dell’Ottocento la voga di queste Sacre Rappresentazioni scultoree fu tale da far nascere una vera e alta forma d’arte della terracotta e stoffa preziosa, illustrata da scultori come il Sammartino e il Bottiglieri. Cuciniello collezionò il meglio che si trovava sul mercato, e il meglio della sua collezione venne da lui allestito nel 1879: è nello stato in che lo volle il grande mecenate.
Il Presepio nasce dalla rappresentazione della Natività, arte antica quanto la religione cristiana. Ma la Natività napoletana diviene altro dalla evangelica, sebbene una corona di angeli, che anche il Cuciniello ha scenograficamente disposta a benedire il suo Presepio, canti il Gloria in excelsis Deo. La canta al triumvirato sacro, il Bambinello, la Madonna, San Giuseppe, relegato nelle rovine d’un tempio pagano (la sconfitta degli “dèi falsi e bugiardi”). Piccolo piccolo, il triumvirato quasi non si scorge nella ricchezza della scena circostante. E questa ha radici artistiche lontane. Vi influisce il realismo della pittura fiamminga e di Rubens, vi trovi le botteghe di macellaio di Carracci e le vendite di pesce e crostacei neerlandesi, il realismo della pittura secentesca romana, quella scuola definita dei “Bamboccianti”. Il soggetto del Presepio è la vita quotidiana, in ogni sua manifestazione. È pieno di botteghe: la macelleria, i venditori ambulanti di pesce, carne cotta, frutta, verdura, trippa, caldarroste. Ci sono la zingara che dice la ventura, i contadini vestiti a festa, ciascuno con il costume tipico della località del contado campano o abruzzese onde proviene. I gruppi di suonatori ambulanti, armati del mandolino, del liuto, della ghironda, dell’arpa, del violino, della chitarra. Alcuni di essi, o un gruppo intero, ciechi. L’uomo in piedi che mangia i maccheroni con le mani. I mendichi, ricoperti di stracci, alcuni gettati a terra: e la rappresentazione non tralascia piaghe e ulcere. Il mulino. Il “Pastore della Meraviglia”, ossia l’uomo, occhi sbarrati, la bocca aperta, pietrificato in contemplazione della Cometa. In napoletano antico è metafora per stupido, che viene da stupeo, il restar sbalorditi o paralizzati; io ne ho fatto un emblema di me stesso di fronte all’arte. E la Taverna: al di fuori della quale sono esposte le carni, i salumi, che si consumeranno. Il tempio del Cibo, ossia l’esorcismo verso la Morte.
Le bacheche laterali contengono pezzi singoli. La collezione di animali fa ammirare un’arte altissima della riproduzione realistica che per certi versi ricorda i disegni di Leonardo. Certi buoi, certe capre e pecore, cani di tutte le razze, sono lavorati in terracotta sì da farti contare i singoli peli del manto. Cogli l’amore che gli porta l’artista. Il corteo dei Re Magi, con l’esercito, i cammelli, i servi, i nani, i buffoni, le scimmie, i mastini e i leopardi al guinzaglio, e l’intera orchestra, ha un rilievo infinitamente maggiore della Sacra Famiglia: è uno dei pezzi forti, e gli strumenti della banda sono riprodotti con una precisione da ingelosire lo storico della musica. Ma ci voleva un bolognese per reintrodurre gli umili e la vita quotidiana in una somma opera d’arte dedicata ai Grandi della terra, ossia napoletanizzare Botticelli. La sublime Adorazione dei Magi rappresenta il fasto della corte che si prostra al Messia; ma Ottorino Respighi, nel paganissimo Trittico botticcelliano, traspone in musica il quadro fiorentino e v’introduce una canzone popolare che venne annotata da Sant’Alfonso, Quanno nascette Ninno a Bettlemme, ossia Quando il Piccolino nacque a Betlemme. Nessun direttore d’orchestra italiano esegue il Trittico, fanno Hindemith.
Sant’Alfonso fu vescovo di Pagani, presso Salerno. Nel Presepio non manca mai la figura d’una donna che getta grano alle galline. A Pagani si venera una Madonna del Carmine collegata a una festa “delle Galline”. È un antichissimo rituale agricolo. Questa Madonna delle Galline è una reincarnazione di Demetra, o Cerere, dea del grano e delle messi. Durante la festa si balla orgiasticamente la Tarantella, si celebra la tammurriata con giganteschi tamburi con campanelli, adattamento del sistro, che nato per il culto di Iside, si estese a quello della Magna Mater, Cibele (altra matrice della Madonna) e di Dioniso, insieme con il crotalum, quelle nacchere in Spagna solo arrivate, giacché nacquero per il culto di quelle dee e del dio dell’ebrezza.
Il Presepio napoletano ha per tema la Natura e la venera. Il Bambinello viene al mondo a patire per redimere una Natura che d’esser redenta non ha nessuna voglia.
*Da Libero del 7.2.2019
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