Arrivato in Italia giusto in tempo per quello che rimane dell’ultima cerimonia nazionalpopolare che ci sia, quella del Festival di Sanremo. Battisti, ma non il grandissimo Lucio, è finito in carcere dopo una lunghissima e doratissima latitanza. Candido, il giornale satirico diretto da Alessio Di Mauro, ha scelto di trattarne in maniera approfondita. E oltre alle analisi, pubblica un’intervista esclusiva ad Adriano Sabbadin, figlio di una delle vittime mietute dall’odio politico dell’ex proletario armato per il comunismo. Qui troverete l’apertura di febbraio del giornale.
“Capire tu non puoi”, cantava il Battisti “giusto” qualche anno prima che il Battisti “sbagliato” iniziasse ad ammazzare proletari per strada nel nome del proletariato. Erano i famigerati anni Settanta, quelli “delle sedicenti brigate rosse”. Anni di delirio collettivo nei quali oggi sembriamo improvvisamente ripiombati. A dare la spinta decisiva per questo grottesco viaggio a ritroso è stata la tardiva ma benedetta estradizione di Cesare Battisti nel nostro Paese. Questione di un attimo: l’ex terrorista dei Pac non aveva ancora fatto in tempo a toccare con i piedi il suolo italico che già a diversi intellò di casa nostra erano rispuntati i basettoni, i pantaloni a zampa, la tolfa e l’eskimo d’ordinanza. Oltre naturalmente al classico vademecum da cattivi maestri che speravamo di non sentire mai più: dalla mancanza di prove certe, alla necessità di un’amnistia, e via sproloquiando.
Incredibile a dirsi, ma a quarant’anni da quella stagione c’è ancora chi – tornando al grande Lucio – non può proprio capire l’enorme soddisfazione che la maggioranza degli italiani ha provato nel vedere quel ghigno osceno, che da sempre campeggia sulla faccia dell’ex terrorista dei Pac, spegnersi magicamente. E nel vedere lo Stato riprendersi la propria dignità di fronte al mondo intero. Probabilmente davanti agli occhi di gente come Sansonetti e Saviano, Vauro e Raimo, Pennac e Carlotto – solo per citare alcuni tra i più noti – dev’essere ancora presente il filtro deformante di quella stessa ideologia che armava la mano dei terroristi. Un velo rosso che cancella l’umanità e trasforma la vigliaccheria in eroismo rivoluzionario, impedendo a chi ne è afflitto di capire che assassinare un macellaio davanti alla di lui famiglia non è un gesto da novello Che Guevara, ma un infantilismo intriso d’infamia e codardia.
Un concetto semplice ma proprio per questo fuori dalla portata del comprendonio di questi signori che, oggi come allora, l’unica cosa che riescono a capire è la necessità di fare quadrato attorno al carnefice. Coccolandolo, giustificandolo e infine rispolverando il pezzo forte del vecchio repertorio: provare a trasformarlo in semplice “compagno che sbaglia”, ossia in vittima da compatire.
Se state pensando che oggi l’impresa di riuscire a far passare per vittima l’assassino Cesare Battisti – ormai riconosciuto come tale perfino da Evo Morales – sarebbe assolutamente proibitiva, vi sbagliate di grosso. Perchè fin quando una strategia simile è cavalcata da Ferrando e compagni in estinzione, al massimo può riuscire a strappare una risata. Ma se a tali rottami in disarmo arriva in soccorso involontario nientemeno che il ministro della Giustizia, allora le cose cambiano.
Sì, cari Candidolettori. Avete capito bene. Il guardasigilli pentastellato è riuscito a dare concretezza a un’ipotesi destinata a trasformarsi nell’ennesimo boomerang per i reperti dell’era giurassica del comunismo che fu. All’ottimo Bonafede è bastato un semplice video pubblicato sulla propria pagina facebook (un filmato che pare uno spin-off del Grande Fratello e che racconta l’uscita di Battisti dall’aereo come fosse l’uscita dalla “Casa” di Rocco Casalino) per riuscire nel miracolo.
E così lo spietato assassino dei Pac ha assunto universalmene le sembianze della povera vittima sacrificale esibita a mo’ di trofeo dal Guardasigilli in cerca di consenso. Della serie: “come sputtanare in un minuto e mezzo una giornata memorabile di trionfo della legalità”. Per poi finire addirittura indagati per violazione degli articoli di legge che prevedono la tutela della dignità dei detenuti. Perché la Giustizia, nel Paese che è la culla della cultura del diritto, è una cosa seria. Non materia per nerd cresciuti a pane, social e reality.
“Tu chiamale se vuoi… deiezioni”.
*Da Candido di Febbraio 2019
Sanremo forse una volta era una Kermesse nazionalpopolare. Oggi non è più una presentazione di canzonette, ma un casino parapolitico, pretenzioso, sinistrorso pseudo progressista, liberal, gender fluid e di tutta la merdaccia cafona e nichilista che c’è in giro in questa schifezza di globalizzazione contrabbandata per libertà…