Il vero spirito di rivolta consiste nell’esigere la felicità qui, in questa vita.
(Henrik J. Ibsen)
Talora basta il nome. Evaristo e Odoacre. Che poi sarebbero Beccalossi e Chierico, due personaggi rimasti impressi nell’immaginario collettivo. Due calciatori che, a modo loro, sono divenuti delle autentiche leggende calciopop.
L’uno bandiera svagata e ganza dell’Inter , l’altro romano simbolo della Roma che riuscì a cucirsi lo scudetto sulla maglietta. Beck indolente eppure deliziosamente ubriacante, tutto dribbling e (solo) piede sinistro. Chierico, faccia da bravo ragazzo coronata dalla zazzera rossa, centrocampista offensivo liedholmista e presenza fissa dei film nazionalpopolari sul pallone, titolare con Oronzo Canà e Carlo Ancelotti nel doppio (disastroso) contro Gigi e Andrea.
C’è una cosa che li ha uniti, oltre alla (diversa) militanza interista. Tutti e due, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, indossarono la maglietta del Barletta che, nel frattempo, era salito in serie B.
Evaristo Beccalossi ci arriva nel 1988-89 da disoccupato, dopo aver incantato i brasiliani del Santos e aver giocato bene al Brescia. Preferì rimanere in Italia e, prima di riprendere la via del Nord, toccare con mano il calore del pubblico del Sud. Qualcuno aveva dubbi, a inizio campionato la forma non c’è. Le paure, però, sono altre. Un calciatore come lui, fortissimo ma discontinuo, capace di risolvere le partite o di gettarle al vento da solo (ricordate i due rigori sbagliati in Coppa delle Coppe?) è un lusso che una provinciale costretta a lottare con le unghie e con i denti per salvare la categoria, forse forse, non avrebbe potuto permettersi. Invece Beck giocherà da titolare per 26 volte, segnando sei volte (tra cui ai rivalissimi del Taranto) e trascinando i biancorossi pugliesi alla sospirata permanenza in seconda divisione.
Odoacre Chierico, invece, giunge nella Città della Disfida nel mercato autunnale del 1990-91, dall’Ascoli. Giocherà solo undici volte, senza centrare mai il gol. Del resto, lui non aveva mai segnato molto nemmeno quando inventava assist per Pruzzo. Quello barlettano fu un campionato deprimente, finì la squadra ultimissima in classifica a ventotto punti e finì l’epopea della Milano di Puglia che sognava col pallone e faceva lo sgambetto agli squadroni. Se ne andò a gennaio ’92 quando prese la via del Gubbio, in C2.
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