Marco Valle, scrittore (autore del brillante saggio “Suez”) e firma de “Il Giornale”, partiamo dalla politica italiana e il Sudamerica: dal caso Battisti alla crisi venezuelana che quadro emerge dalle visioni della destra italiana?
“Confuso come è confusa la nebulosa destrista. Partiamo dal caso Battisti. Gli unici, i soli che potevano legittimamente gioire e brindare dell’arresto del terrorista erano i parenti delle vittime. Alberto Torregiani in primis. Eppure, hanno mantenuto un profilo sobrio, dignitoso, alto. A differenza della politica”.
I ministri all’aeroporto ad accogliere l’ergastolano…
“Trasformare una vittoria, seppur tardiva, della giustizia in un circo mediatico — finte uniformi, video, striscioni, appelli e contro appelli — per ricavarne spazi di visibilità a buon mercato è quanto meno sconcertante. Detto questo restano domande che nessuno o quasi ha posto”.
Quali?
“Come e, soprattutto, cosa ha fatto un tizio ributtante come Battisti per permettersi 37 anni di confortevole latitanza? Chi lo ha protetto e perchè? E chi continua a coprire personaggi sulfurei come Alessio Casimirri? Le risposte, come ha ricordato Beppe Fioroni presidente della commissione d’inchiesta sul caso Moro 2, vanno cercate in quel “patto indicibile” tra terroristi, strutture dello Stato e poteri stranieri, Vaticano compreso. Il caso Battisti allora può diventare l’occasione — riprendendo i lavori di Pellegrino, Priore, Nordio — per riscrivere le pagine più cupe e misteriose degli anni di piombo e fare finalmente luce sulle continue interferenze dei servizi stranieri d’ogni colore (sovietici, tedesco orientali, bulgari, arabi ma anche francesi, inglesi, americani, israeliani) nella vita politica italiana”.
La ricerca delle verità sulle stragi e sugli anni di piombo avrebbe bisogno di un sostegno politico differente.
“E’ un compito che dovrebbe spettare alla destra politica, una forza che storicamente si vuole garante dell’indipendenza e della coesione nazionale oppure alla Lega salviniana. Purtroppo noto sull’argomento molta disattenzione se non superficialità. Lo stesso vale in politica internazionale. Come segnala Marco Tarchi, invece di leggere con attenzione le contraddizioni di un mondo multipolare i sovranisti di governo e d’opposizione “degli scenari geopolitici cruciali del pianeta hanno scarsa cognizione e delle crisi che li coinvolgono fanno poco conto”. Le affrettate dichiarazioni sul Brasile di Bolsonaro, sul Libano, sull’Africa francofona e sul Venezuela confermano questo limite”.
Si avvicina l’appuntamento delle Europee. Salvini viaggia oltre il 30% e la Meloni sul filo del 4%. Questi equilibri da cosa sono determinati?
“Salvini è riuscito ad interpretare sia la “destra diffusa” — un sentimento ben più ampio delle rappresentazioni parlamentari passate ed attuali — sia il rigetto di larghi segmenti sociali verso l’establishment costruendo in tempi rapidi un inedito contenitore populista. Un capolavoro di pragmatismo e spregiudicatezza che fatalmente ha sottratto spazio, credibilità e consensi al declinante Berlusconi e ai frastornati orfani di Alleanza Nazionale. Si aggiunga che per cercare d’arginare l’avanzata salviniana la destra politica ha iniziato una disordinata rincorsa sui temi leghisti più eclatanti — l’immigrazione e la sicurezza — rinunciando ad un profilo e un’elaborazione originale. Un errore a cui si sono aggiunti via via altri scivoloni come, ad esempio, la richiesta dell’impeachment per Mattarella, le bislacche proposte pro-pistoleri o la stramba idea del blocco navale, un’azione inattuabile poiché le Convenzioni internazionali e le risoluzioni dell’Onu lo proibiscono considerandolo una misura di guerra, un “atto d’aggressione” (si veda il “Glossario di Diritto del Mare”, Roma 2007, dell’ammiraglio F. Caffio). Insomma, non si tratta soltanto di problemi di comunicazione ma di mancanza di ragionamenti, di analisi, di profondità. Come tanti anni fa avvertiva Beppe Niccolai la “pesca delle occasioni”, il tatticismo elevato a sistema non pagano e i risultati sconsolanti dei sondaggi lo dimostrano”.
Dicevamo del Carroccio…
“Torniamo a Salvini. La Lega vive ora il suo momento magico e alle Europee raccoglierà i frutti. I problemi per Matteo inizieranno l’indomani delle elezioni: per ottimizzare al meglio il carico di fiducia ricevuto dovrà ridiscutere drasticamente gli equilibri di governo oppure rilanciare una nuova sfida trasformando il suo movimento in un “partito della nazione”. Cosa non semplice per gran parte del personale leghista — Giorgetti, Zaia, Fedriga e Fontana rimangono ancora delle eccezioni — abituato da sempre ad una visione semplicistica della politica e diffidente verso approfondimenti in campo economico ed intellettuale. In quel frangente per una destra attrezzata e pensante potrebbero aprirsi dei margini di manovra interessanti”.
Peseranno i voti sovranisti nella nuova commissione europea e nelle alleanze a Bruxelles?
“Sulla carta sì, nella realtà vedremo. Dipende se una volta arrivati a Bruxelles i “nuovi barbari” sapranno trovare una direttrice comune e una prospettiva d’insieme o si frantumeranno in piccole logiche da bottega sprecando così un’opportunità forse irripetibile. Rimane poi l’incognita Steve Bannon, un personaggio indecifrabile che continua ad esercitare un forte fascino su alcuni settori del populismo europeo. Quali sono i veri obiettivi di questo strano guru d’oltre Atlantico?”.
Trasformare e superare Fratelli d’Italia per un rassemblement da Fitto a Casapound: quali prospettive e quali rischi?
“In assenza di basi strutturali forti e condivise il “tutti assieme appassionatamente” non mi appassiona. Cercare di ripetere 25 anni dopo l’esperimento di Pinuccio Tatarella senza l’intelligenza strategica di Pinuccio, senza un solido impianto politico-economico di riferimento e senza il peso elettorale di A.N mi sembra un artifizio elettoralistico di corto respiro. Al di là delle contingenze attuali e prima di aprire una fase “et-et” d’inclusione e di sintesi con altre sigle e personaggi, FdI dovrebbe porsi l’ineludibile problema della ricostruzione di una destra politica di governo. Da qui la necessità di superare la sindrome dell’”aut-aut” che affigge il ristretto gruppo dirigente e il recupero di una sana dialettica interna e un confronto con intelligenze e blocchi sociali di riferimento”.
La Rai gialloverde: l’eccezione di Gennaro Sangiuliano al Tg2 e l’egemonia conformista…
“Gennaro sta dimostrando che è possibile offrire un ottimo prodotto al di fuori degli schemi conformisti. Ma Sangiuliano rimane per il momento “rara avis”. Pensare di poter smontare in pochi mesi un carrozzone lottizzato, corrotto, impregnato di conformismo come la Rai è illusorio. Per rinnovare il servizio pubblico ci vuole tempo e servono idee e figure fresche. Il tempo forse c’è ma mancano le persone adeguate. Nulla di nuovo. Il pervicace, storico disinteresse della destra e del centrodestra verso la cultura e l’informazione ha penalizzato e immiserito un importante giacimento di professionalità e intelligenze consentendo il prolungarsi in Rai dell’egemonia catto-comunista. Ricordiamo che lo stesso Gennaro deve il suo meritato successo non alle amicizie politiche (figuriamoci…) ma alle sue straordinarie capacità intellettuali e lavorative”.
Nelle librerie sta avendo un grande successo “Serotonina” di Houellebecq: la letteratura fotografa il nihilismo europeo. La politica resta indietro?
“La politica è sempre in ritardo. Lasciamola perdere e leggiamo Houllebecq. Michel Onfray lo ha definito un sismografo che registra le scosse telluriche delle placche di civiltà. Ha ragione. Libro dopo libro lo scrittore ha diagnosticato la deriva dell’Occidente: la mercificazione dei corpi e delle anime, la dittatura del denaro, il conformismo buonista, il cretinismo salutista, la retorica europeista, il mesto naufragio dei valori cristiani e l’affermarsi prepotente dell’”islamo-gauchisme”. Al netto delle sue provocazioni e delle iperboli nihiliste (e di qualche grevità di troppo), Houllebecq ha dimostrato una rara capacità d’ascolto della Francia periferica, bianca e rurale anticipando, così, la rivolta dei gilets jaunes, i dimenticati, gli orfani della globalizzazione. Una narrazione della Nazione antimoderna (o postmoderna?) che richiama quella di Charles Peguy, il cantore della “piccola borghesia operosa che conserva la la dignità di dare” e si oppone alla corrotta “borghesia dei soldi e alla logica del denaro”. Ma non solo. Alcune pagine di “Serotonina” ricordano quelle del “Gilles” di Drieu La Rochelle: stesso orgoglio della solitudine, stesso odio-amore per Parigi — “una città ripugnante popolata da borghesi eco responsabili” a cui il protagonista però non sa rinunciare —, stessa rabbia dolente davanti all’agonia della società contadina, il Paese profondo. Non a caso la figura più bella (e fortemente politica…) è Aymeric, l’aristocratico squattrinato ma non domo che impugna il fucile per difendere i diritti degli agricoltori, una battaglia disperata, perduta ma “da sempre missione della nobiltà”. A Drieu sarebbe piaciuto”.