Un’occasione persa, assolutamente persa. L’ennesima. Cent’anni arrivano una volta soltanto, così come la memoria della vittoria nella Grande Guerra. Una data passata velocissima. E chissà ora quando la rivedremo. Il 4 novembre 2018, distratto e disastrato. Trieste divisa tra due cortei (uno dei quali con cori davvero vergognosi), qualche manifestazione ufficiale dal sapore un po’ di tappo, sparute iniziative militanti (persino ultras), qualche approfondimento giornalistico. Nulla di più. Ecco quel che resta di una giornata che avrebbe dovuto avere dello storico. Poco, decisamente poco. Mettici pure il maltempo, le tragedie che hanno scosso il nord e il sud del Paese. Aggiungi poi quella sana polemica che non guasta mai, perché la raccolta di fondi per le zone alluvionate escludeva clamorosamente la Sicilia e le sue dieci vittime.
L’Italia assiste con indolenza all’ennesima data che – avessimo avuto una classe dirigente e intellettuale meno riottosa, recalcitrante e più illuminata – avrebbe potuto cementificare quel sentimento di unità che decisamente manca a questa Nazione. La verità è che avevamo ben tre anni per costruire una bella festività in salsa tricolore. Dal 2015 a oggi ne avremmo avuto di tempo, invece eravamo distratti a inseguire le streghe di un presunto ritorno di tutti gli ismi possibili e immaginabili.
Tempo perso, è chiaro. E dire che il centenario della rivoluzione d’Ottobre è stato meglio elaborato, da autori, case editrice e nostalgici. Nulla di male per carità, sarebbe miope non riconoscere la vastità – nel bene o nel male – dell’ondata bolscevica e il suo impatto sul secolo scorso. Un secolo breve, appunto perché disegnato sull’ascesa e caduta dell’Urss. Nel Novecento però è successo anche altro. Una vittoria tutta italiana, per esempio. Certo, è arrivata anche una sconfitta, pesantissima pure.
Peccato però che da quella, come comunità nazionale, non ci siamo ancora ripresi. Da lì parte infatti quel complesso di minorità che spesso ci attanaglia quando dobbiamo mettere a confronto la nostra identità con quella di altre nazioni. Uno stato d’animo da sconfitti sempre e comunque che non fa bene a nessuno. Persino a coloro che a questa comfort zone non sanno più rinunciare. Il 4 novembre intanto è passato e, ahinoi, non ne vediamo un altro all’orizzonte.
Già si sapeva. La questione è che l’8 settembre, con i suoi seguiti, ha determinato veramente la morte della Patria, non solo come formula giornalistica. Speravo, sin da quando portavo i craxiani ‘pantaloni alla zuava’, in una possibile nuova, grande patria europea. Macchè…