Corridoni, Mussolini, D’Annunzio: per comprendere il senso profondo dell’anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale, guerra vittoriosa e di svolta per l’Italia, occorre partire dalle origini e dunque dai protagonisti della campagna interventista che, tra il 1914 ed 1915, spinse il nostro Paese nel Grande Conflitto. Il sindacalista rivoluzionario, l’eretico socialista ed il Vate rappresentano simbolicamente la rottura sociale, politica e culturale con il neutralismo liberal-socialista, già prefigurando gli sviluppi post bellici, i nuovi orizzonti che la guerra ha poi portato, con lo scompaginamento di tre imperi, con l’emergere di nuove élites, forgiate dalle trincee, e con i processi di nazionalizzazione delle masse.
La vittoria, della quale ricordiamo il centenario, va perciò ben oltre l’anniversario patriottico e del risorgimento compiuto, con l’unione di Trento e Trieste alla Madre Patria.
Per dirla con Gioacchino Volpe – non proprio uno storico “qualunque” – la Grande Guerra vittoriosa ed i processi politico-sociali che innescò hanno rappresentato il “compimento” dell’idea di nazione, ad un livello più alto e più maturo rispetto al primo cinquantennio unitario. Si compie il Risorgimento. Ma è Risorgimento di popolo, a differenza di quello borghese ed elitario del 1861. E’ un Risorgimento alla cui costruzione concorrono movimenti diversi, spesso contraddittori tra loro – come scrive Volpe “ … contrari al socialismo in quanto dottrina, ma non in quanto problemi sociali e del lavoro; contrari alla democrazia politica, ma in vista di più soda e vera democrazia; contrari al regime parlamentare e alle sue baruffe; contrari a quel certo modo di governare, fatto di transazioni, di accomodamenti, di gretto empirismo, di corruzione elettorale, di contaminazione tra gli affari e la politica, di disconoscimento dei valori ideali, che prese nome non glorioso da Giovanni Giolitti, quasi ininterrotto capo del governo italiano per oltre un decennio, prima della guerra”.
E’ all’interno di questa autentica “serra calda” che la guerra vinta porta a sintesi una nuova volontà nazionale di riscatto, decisa a dare voce alla parte migliore della Nazione, quella che si era messa in gioco, che aveva messo in gioco la propria vita, perdendola o uscendone mutilata,
C’è quella che Mussolini, su “Il Popolo d’Italia”, nel dicembre 1917, definiva “trincerocrazia”: una nuova aristocrazia emergente, pronta a rivendicare la sua parte di mondo, decisa alla “presa di possesso” delle posizioni sociali, in netta cesura tra “quelli che ci sono stati e quelli che non ci sono stati; quelli che hanno combattuto e quelli che non hanno combattuto; quelli che hanno lavorato ed i parassiti”.
La guerra vinta porta tutto questo: una nuova grande passione nazionale, che va ben oltre le vecchie appartenenze sociali e geografiche, ed una volontà di trasformazione che individua nella sintesi tra classe e nazione la sfida modernizzatrice, quella sfida che aveva visto il sindacalismo rivoluzionario, capeggiato da Corridoni, in prima fila nella campagna interventista al grido “La Patria non si nega, ma si conquista”.
E’ la cattiva “amministrazione” della vittoria, incompresa e vilipesa dagli eterni neutralisti, e la sua “mutilazione” – tanto per usare l’immagine dannunziana – a creare le condizioni per dare una prospettiva politica alle aspettative della vigilia.
I protagonisti del 1915, Corridoni, Mussolini e D’Annunzio, sono anche, in forme diverse, i protagonisti reali e mitici del dopoguerra, con la loro volontà di fare entrare, a pieno titolo, il proletariato nella Storia nazionale, compenetrandolo con lo Stato, in un’ Italia grande e libera, che – come aveva immaginato il Vate, alla vigilia della guerra – non fosse più “ … un museo, un albergo, una villeggiatura, un orizzonte ridipinto col blu di Prussia per le lune di miele internazionali, un mercato dilettoso ove si compra e si vende, si froda e si baratta”.
Con questo spirito ricordiamo i cento anni della fine vittoriosa del primo conflitto mondiale: guerra patriottica e rivoluzionaria insieme, segno di un tempo in cui al tramonto del vecchio ordine nuove sintesi e nuove speranze occuparono la scena nazionale, fermento autentico e non retorico per un’Italia che da quel 4 novembre 1918 non sarebbe più stata uguale a prima.
Onorare la Patria ed i suoi caduti è cosa buona e giusta. Specialmente il giorno del Centenario. Ma non la falsificazione della storia: la Grande Guerra è stata soprattutto la nostra resistenza sulla linea del Piave, dopo la rotta di Caporetto nel 1917. Vittorio Veneto fu definita da Prezzolini: “una ritirata che abbiamo disordinato e confuso non una battaglia che abbiamo vinto”, in quanto gli austro-ungarici, dissoltasi la struttura politica dell’Impero, si stavano ritirando per raggiungere le loro nuove patrie e per questo Diaz non avrebbe voluto sacrificare altre vite inutilmente. Prevalsero le pressioni di Roma, di Vittorio Emanuele Orlando, che pensava alla Realpolitik, all’utilità di mettere sul tavolo della futura Pace una nostra vittoria. Ma si sbagliava: gli alleati non ci trattarono da vincitori, con o senza Vittorio Veneto.
…. C’è quella che Mussolini, su “Il Popolo d’Italia”, nel dicembre 1917, definiva “trincerocrazia”: una nuova aristocrazia emergente, pronta a rivendicare la sua parte di mondo, decisa alla “presa di possesso” delle posizioni sociali, in netta cesura tra “quelli che ci sono stati e quelli che non ci sono stati; quelli che hanno combattuto e quelli che non hanno combattuto; quelli che hanno lavorato ed i parassiti”….
Punto.
Da No reporter
Un gesto nazionalrivoluzionario PDF Stampa E-mail
SCRITTO DA GABRIELE ADINOLFI
SABATO 03 NOVEMBRE 2018 10:54
che non resterà nel vento
Da oggi fino a lunedì, in occasione del Centenario della Vittoria, ritengo cosa buona e giusta appendere il Tricolore alle finestre o ancor meglio alle ringhiere dei balconi di casa.
Questo nell’intento di segnalare che la nostra idea imperiale d’Europa è anche nazionale italiana.
Per esaltare con l’eroismo e l’arditismo di altri uomini anche lo slancio rivoluzionario che proseguì fino a Roma e poi nell’Europa tutta, infiammando il mondo nei Paesi arabi, in India, in Giappone.
Italia – Rivoluzione – Europa!
… Il Tricolore meglio se esposto con l’Aquila della RSI ed il Fascio Sociale Repubblicano
Qui, invece, il IV novembre si ricordano le attuali Forze Armate: schiere di “segnalati”. Gli eroi è peccato ricordarli, in democrazia.
Brava vedetta! Dopo tutti alla partita dell’ambrosiana, quindi a sorbire un cocchetello e se ci viene mal di testa ci zuchiamo un ottimo cialdino. Cantilina la solita stessa cantilena: siete i cosplay della politica
Aho a Libero di dire cazzate, famola finita …
Se devi esprimere un concetto fallo compiutamente oppure “Liberaci” cortesemente dal tuo sarcasmo tedioso …
Eccotelo il concetto: da voi macchiette dei tempi che furono, da voi puritani più puri della purezza nessuna lezione. Sarete stati i più ortodossi degli ortodossi ma Fini (per dirne uno) è merito vostro. Adesso cortesemente finitela di ammorbarci con le vostre ipocrisie, grazie.
La vedetta di Cartolina, vedi di non offendere che non fai paura a nessuno.
Libero falla finita de fa lo stopper e liberaci dalla tua presenza …
Stai a cuccia ….
Caterina fai la brava, a cuccia ti ci devi mettere tu come hai fatto negli ultimi trent’anni invece di dare lezioni agli altri. Se valevate qualcosa non avremmo avuto nessuno di coloro che citi parossisticamente come il peggio del peggio. Scrivendo minacce in romanesco da operetta coatta (e figurati se er fascio nun è de Roma, macchietta!) non fai paura a nessuno tu e tutti i vecchi bacucchi con le bandierine come te. Vicino a te e al tuo segno compare Luciano, Gianfranco Fini è uno statista. Saluti e baci.
Ps: invece di offendere replica con qualche concetto serio.
Sei Tu che stai offendendo da dietro una tastiera . Gente come Fini la prendevamo a calci in culo . Punto.
Dedicati a fare il libero con qualcun’altro .