Salve, buondì a tutti. Ecco Selene Ticchi, la poveretta che si è presentata il 28 ottobre a Predappio sulla tomba di Benito Mussolini con una maglia con la scritta “Auschwitzland“. Olè. Tanta, troppa carne ma poca, pochissima materia grigia. Sulla maglietta (taglia xxl) erano raffigurati l’ingresso del campo di sterminio nazista e i caratteri della Disney, quasi a voler suggerire un parallelo fra il campio di sterminio e il parco di Topolino. Pazzie. Intervistata dal quotidiano bolognese Il Resto del Carlino, la donna — già militante di Forza Nuova — ha provato a giustificarsi. E la spiegazione ha del grottesco: “Ho indossato quella maglietta perché non avevo altro da mettermi”. Cazzate.
Subito il movimento di Fiore ha preso le distanze della sua simpatizzante mentre sulla rete l’intero mondo destrista — una galassia vaporosa quanto litigiosa — ha condannato e sbeffeggiato (giustamente) la Ticchi. Finalmente una prova diffusa di maturità, di serietà. Bene. Ma la colpa non è solo della Selene. La poveretta è sicuramente un personaggio imbarazzante, infrequentabile ma è anche il frutto preciso e diretto di una subcultura che riduce l’esperienza fascista — un momento tragico e potente in cui s’intrecciano autoritarismo e modernizzazione, guerra e riforme sociali — ad una farsa.
Il grottesco carnevale di Predappio ne è la dimostrazione più cupa e vera. Scomparsi i reduci — gli unici che potevano legittimamente indossare fez e innalzare labari — sono rimasti i nostalgici del nulla, i matti, la piccola folla di rumorosi disadattati. I nostrani “nazisti dell’Illinois”. Una somma di casi umani. Tagliatelle, saluti romani e tanto “vino nero e me ne frego”. Mentre il metanolo scorre a fiumi l’Anpi ringrazia.
Un piccolo ricordo privato. Più o meno trent’anni fa il FdG organizzò presso Rimini la sua annuale Conferenza organizzativa. Si discuteva di tutto ma si immaginava il domani. Nuovi saperi, tecnologie, geopolitica. Idee, progetti, illusioni. Sogni. Nella sala incrociammo (ti ricordi Renato?) un manipolo di nero vestiti che si apprestava a salire a Predappio. Personaggi ridicoli che mai avevano dato un volantino, attaccato un manifesto, letto un libro. Eppure questa triste falange iniziò ad accusarci di eresia.
“Loro” e solo loro erano i custodi dell’ortodossia (?). Povera gente che schifammo. Indispettiti partirono, tra le le nostre risate, verso il “sacro tombone”. Eppure, probabilmente, fu un errore. Forse dovevamo discutere e ragionare con quei poveretti. Spiegare che tutto stava cambiando. Anche a destra. Ma eravamo molto giovani e troppo insofferenti verso il “piccolo mondo antico”, certi che il ” domani appartenesse a noi” e non vi fosse posto per i cretini.
E poi, non ne potevamo più della versione fasciotonta delle poesie di Gozzano, il lugubre “salotto di nonna Speranza” in cui il vecchio MSI rastrellava consensi. Le cose andarono diversamente. Amen. Ma torniamo ad oggi. L’impresentabile Ticchi forse è conseguenza indiretta della nostra albagia (giovanile e velleitaria) ma di sicuro è il prodotto della disattenzione di una classe dirigente autoreferenziale quanto superficiale. L’orribile maglietta, le imbarazzanti giustificazioni, la stessa kermesse di Predappio sono il risultato dell’assenza di case editrici, riviste, librerie e archivi. Della mancanza di un ragionamento condiviso sul passato e di una visione del futuro. Siamo seri. Onesti. Nel vuoto programmatico e ideale seguito all’implosione della destra politica sono fermentati piccoli, innocui mostri. I responsabili del disastro se ne assumano la responsabilità. I soldi gli hanno già incassati.