Se non avesse segnato Icardi, se Donnarumma non si fosse reso protagonista dell’ennesimo svarione, se quel gol non fosse arrivato al 92esimo, ebbene staremmo parlando di una delle partite più brutte dei tempi recenti.
Invece, grazie alla zuccata rifilata dall’asso argentino nerazzurro a quello zuccone del portiere del Milan, i televenditori di diritti tv possono esaltarsi come loro abitudine. Esaltarsi per una partita così è da bocche buonissime, da gente abituata ad accontentarsi. Più che per godere, per non morire.
L’Inter rinunciataria, passivo-aggressiva di Spalletti, punge quando serve. Senza fare un’oncia di gioco si porta a casa una cassetta carica di tre punti preziosissimi. Che fanno morale, fanno classifica, ristabiliscono (per ora) gerarchie cittadine, gasano in vista del Barcellona.
Il Milan catenacciaro a abborracciato del simpatico (e poco più) Rino Gattuso è fedele a quello che s’è visto negli ultimi anni. Tante buone, ottime parole. Troppe, intollerabili per la squadra che si vanta di aver vinto sette Champions League, defaillances.
Una situazione così non è nuova. Anzi, è il leit motiv del calcio italiano da quasi cinque anni. In cinque anni sono tante le cose che si fanno. Si passa dall’infanzia alla giovinezza superando la pubertà, ci si prende una laurea o alle brutte una licenza liceale. Ma tutto questo tempo, finora, non è bastato a Milano a ritrovare la sua grandezza nel panorama calcistico italiano ed europeo.