Da un gialloblù a un altro, dal tramonto (che pareva definitivo) all’alba (timida, disperata perciò affascinante).
Gian Piero Ventura è tornato in sella. L’ex cittì della nazionale, dopo le legnate di San Siro patite dai falegnami svedesi si rimette la tuta (giallo)blù e si accomoda sulla panchina del Chievo, in disperata crisi di risultati, di gioco e di punti (leggi penalizzazioni, caso plusvalenza).
Ha firmato un biennale, s’è presentato armato di “voglia feroce di ricominciare”. Sulla Nazionale è inviperito: “Dopo una sconfitta non è stato possibile andare avanti”.
Ora gli è passata (c’è da credergli?), Ventura è carico a molla. “Vogliamo affrontare una sfida che non è facile ma dà adrenalina perché abbiamo consapevolezza della sua difficoltà e abbiamo voglia feroce di rimetterci in discussione, che è l’unica strada per mantenere la serie A”.
Non ci toccherà, a noialtri, aspettare troppo per capire sotto quali auspici parte la nuova avventura dell’ex cittì. A Bari e Torino, Ventura, è stato pur sempre “Mister Libidine”. Quando è arrivata la grandissima occasione, quella di una vita, l’ha ciccata. Le colpe le ha condivise con un altro personaggio, lui pittoresco, della pedata italiana. Ventura e Tavecchio, giusto un anno fa di questi tempi, erano i Seth e Richard Gecko italiani.
L’avevano fatta grossa, a Milano, con il roboante fallimento azzurro al cospetto di una modesta Svezia.
Seth Ventura, più razionale, ha tentato di recuperare un ruolo pubblico, di ripulire l’immagine distrutta dopo la catastrofe sportiva di San Siro. Eppure la vecchia questione della valigetta dell’ingaggio, di quelle dimissioni che non arrivavano mai, l’hanno reso poco simpatico ai sessanta milioni di sceriffi incavolati che lo avrebbero voluto seguire e suonargliele (sportivamente parlando), fino all’Inferno, fino alla frontiera con il Messico. Epperò adesso accade che la nazionale sia stata affidata a un tecnico super-glamour e patinato, uno in gamba: Roberto Mancini. E che però l’Italia del pallone continui a inanellare figure barbine. Allora, al tizio della strada, gli viene il dubbio: vuoi vedere che?
Richard Tavecchio, ragioniere democristian-brianzolo che vedeva Optì Pobà e avide giocatrici femminili ovunque, collezionista di mostruose gaffe che per un periodo fu persino accusato di molestie (poi il caso venne archiviato a giugno). La sua reggenza del pianeta calcio fu l’occasione per dimostrare al mondo che le penne italiane potevano essere anche più sferzanti e visionarie di lui. Nemmeno lui volle abbandonare la valigetta e nemmeno la poltrona federale, dovettero usare il cric per tirarlo su da lì. Epperò succede che, al posto suo, per ora c’è un commissario. E che il caos di oggi, se possibile (e l’estate dei tribunali appena trascorsa lo dimostra fin troppo bene), è anche peggiore di quello della sua reggenze. Allora, al tizio della strada, gli viene il dubbio: vuoi vedere che?
La realtà è una sola: il calcio italiano è ostaggio dei fantasmi, dei vampiri è tutto un Santanico Pandemonium. Ma al posto di Salma Hayek c’è un procuratore scafato che balla…