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Libri. La bellezza della parola mantenuta e la vita militare raccontate da Alfred de Vigny

by Roberto Mancini
2 Ottobre 2018
in Cultura, Libri
0

L’epopea napoleonica, le uniformi degli ussari, le memorie della Grande Armée, l’enfasi tragica della Guardia imperiale – ah mitico Merde! – e i giovani ufficiali ascoltanti le gesta, mentre, per loro, restava solo l’attendere battaglia, “tra la fatica e la noia”, battaglia che non sarebbe arrivata. I giovani ufficiali francesi,  risparmiati dalle guerre napoleoniche, rimasero ansiosi di gloria. Ma per la gioventù romantica, prima della battaglia, c’era il collegio militare, c’era la lunga attesa, il sogno del beau geste che non si realizzò – come in altra storia avvenne per il tenente  Drogo nel ‘Deserto dei tartari’ di Dino Buzzati. C’è così un ritrovato universo militare in “Servitù e grandezza militare” (1835) di Alfred de Vigny proposto da Oaks editrice.  C’è un pianeta di ufficiali che non assistette al coup de force ad Austerlitz,  che non combatté con le speranze dei cento giorni bonapartisti. Il secolo però avanzava e quei giovani vissero solo di soste e memorie.

E il poeta de Vigny visse “prima napoleonico e poi antinapoleonico, ufficiale addetto alla sicurezza del re durante la restaurazione, per un breve periodo  rivoluzionario, quindi implacabile nell’invocare la repressione, romantico, agnostico, ribelle e accademico, maestro e scettico, sognatore, anarchico e amante dell’ordine”, come scrive Bruno Nacci nell’introduzione al libro: un testo editorialmente elegante che fa pensare  a Stendhal, alla ‘Certosa di Parma’, alle infatuazioni di Fabrizio Dongo. Le narrazioni delle venture napoleoniche  però rimasero nel “grave e silenzioso sorriso dei vecchi capitani”, ammirati dagli ufficiali imberbi, dal giovane  de Vigny, il quale, con canonico realismo, narrò di brindisi al re, di militari attenti “alla irreprensibilità delle divise, sapientissimi sul taglio del loro  abito, oratori dei caffè e della sale da biliardo.”

Ecco la vita da caserma: gli uomini di guerra narrati senza retorica, i cortili dove i giovani ufficiali potevano incontrare gli anziani Aiutanti di campo; poi il notturno silenzio e le passeggiate degli uomini in divisa imprigionati dal ricordo di una donna. Alla letteratura De Vigny consegnò un affresco minimalista di vita militare in un secolo che, piuttosto, ebbe la letteratura dei campi di battaglia, conobbe Tolstoj e la narrazione della gloriosa battaglia di Borodino. Ora riabbiamo un affresco francese composto di cameratismo, di rispetto per il vecchio soldato e la sua nobile stanchezza diversa dalle “folli ambizioni” dei giovani.

Quasi una malinconica historia militum. Sentimenti ritornati dopo sanguinose campagne europee. Non gli strepiti della cavalleria, non i fragori di sciabole e fucili, ma l’ascolto  de “l’animo di un soldato… scrupoloso sul suo onore  fino a crederlo compromesso  per  la minima macchia  d’indisciplina o di negligenza, senza ambizioni, senza  vanità,  senza  lusso,  sempre schiavo  e sempre contento  della servitù, senza aver  nulla di più caro nella vita che un ricordo di riconoscenza.”     In queste memorie la guerra non giunse; l’attesa continuò per i giovani leoni; tuttavia “La guerra attende sempre il soldato, egli è quello che è solo perché i suoi sogni  e il suo addestramento hanno come scopo la guerra. Gli eserciti di pace, che portano la pace, sono solo la triste invenzione moderna di una lugubre ipocrisia…” come scrive Bruno Nacci.

Il poeta de Vigny, ex militare, ex rivoluzionario,  frequentatore di Proudhon, Saint-Simone,  Lamennais, era sincero: cercò nell’ordine muto della marcia dei soldati, nei “reggimenti (che) sono conventi di uomini,  conventi nomadi; in ogni dove portano le loro usanze di gravità, di silenzio e riserbo. Vi si adempiono  facilmente i voti  di Povertà e Obbedienza.”

Riconoscere la regola del soldato. Sapere che la prima regola del milite è  la propria dignità. O come si ripete: Regola del soldato è mantenere il giuramento. E de Vigny concluse con la bellezza della promessa mantenuta, della parola data – “La parola, che troppo sovente non è che un suono  per l’uomo  di alta politica, diviene  un fatto terribile per l’uomo d’arme; ciò che uno dice leggermente  o con perfidia, l’altro  lo scrive  sulla polvere col sangue, ed è per questo  ch’esso è onorato  da tutti, e che molti debbono abbassare  gli occhi davanti a  lui” -, una bellezza che, da un libro tanto remoto, viene così rinnovata.

*”Servitù e grandezza militare”, di Alfred de Vigny, editrice Oaks, pagg.233, euro 12

@barbadilloit

Roberto Mancini

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Tags: alfred de vignyBarbadillobellezzamilitarioaks

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