Quello del volo su Vienna è un centenario da non dimenticare. Non voglio qui evocare date o lunghe cronache in merito allo svolgimento storico dell’impresa. Ciò che mi preme sottolineare e mettere in evidenza è lo spirito indomito di quell’idea dannunziana che si fece azione dimostrativa e goliardica. In nome dell’Italia, in nome dello sprezzo del pericolo.
Il volo su Vienna, progettato e ideato da Gabriele D’Annunzio, fu un vero e proprio colpo psicologico inferto al nemico. Aerei italiani che fecero piovere una fiumana di volantini sopra la capitale austriaca. Appunto, aereo. Il velivolo che sembrava esser costruito e ritagliato a misura del Vate. Altezze, velocità, potenza, temerarietà. L’andare in alto e stagliarsi verso il cielo con fare da ardito, e prepotentemente dirigersi verso il nemico per compiere ciò che si era deciso, progettato. Come un fuoco di rivolta, con un’estetica prepotentemente guerriera e aristocratica, audace, spavalda, spericolata. Come nessuno mai prima e dopo di lui. L’azione pura, romantica, d’altri tempi, ma effettuata con i mezzi del “futurismo”, della “tecnica”, roboante come il tuono della “macchina volante”. Un’azione che sa di volontà di potenza e di un Übermensch che osa, osa sempre, osa fortissimamente. Come solo egli sa osare. Memento audere semper.