La Turchia cresceva troppo e in fretta? Il Pil al 7% e il debito pubblico ad appena il 27,6%. Il motore dell’ economia, inevitabilmente, traina investimenti colossali e le banche turche si sono indebitate con quelle europee. L’inflazione al 16% è il segno di un’economia surriscaldata. Insomma con un debito pubblico bassissimo, un Pil che svetta oltre il sette per cento, con una politica di investimenti pubblici e privati da Paese in pieno sviluppo viene da domandarsi, ma allora questa crisi che sta facendo precipitare la lira turca da che dipende. La ragione c ‘è, ed è tutta politica. La nuova costituzione approvata dai turchi ha trasformato l’assetto istituzionale del Paese. Da repubblica parlamentare la Turchia si è data una Costituzione presidenziale. Con poteri che prevedono anche la nomina del vertice della Banca centrale turca da parte del capo dello Stato. E qui sono nati i problemi. Erdogan si è rifiutato di moderare la velocità della crescita del suo Paese e ha fatto capire al sistema finanziario internazionale che lui avrebbe deciso autonomamente. E per far capire che fa sul serio ha aperto alla Russia e capovolto la sua posizione verso la Siria: da alleato degli Stati Uniti contro Assad e i russi che l’appoggiavano, è passato dall’altra parte. È diventato sostenitore del presidente siriano e ha aperto alla Russia. La Costituzione presidenziale e l’ amicizia con Putin si sono aggiunte al comando dello Stato sulle politiche monetarie della Banca centrale. A questo punto si e saldata un’alleanza micidiale tra le banche e gli interessi strategici americani. Obama tentò di cacciare Erdogan appoggiando un colpo di Stato organizzato dal capo religioso Gulen che era scappato negli Stati Uniti. Ma i militari golpisti furono sconfitti dalla mobilitazione popolare. A mani nude i turchi misero in fuga i carri armati. A questo punto , dopo il fallimento del golpe e l’intesa sempre più forte con Putin, gli Stati Uniti hanno deciso di disintegrare l’economia turca. Le banche estere hanno improvvisamente ritirato i loro investimenti, e nei prossimi mesi le banche turche dovranno restituire 70 miliardi di dollari, una tranche sostanziosa dei debiti con gli Usa. Tutte queste tensioni hanno fatto salire l’inflazione al 16%. La crisi turca dimostra che un debito pubblico bassissimo, al 27% del pil, non mette al sicuro da una aggressione del sistema finanziario internazionale. Quindi tutti quelli che sproloquiano sulla enormità del nostro debito che ci esporrebbe al ricatto dello spread dicono una scemenza. Neppure un tasso di crescita al 7% l’anno e dunque una economia in forte crescita mette un paese al riparo un da crisi provocate per destabilizzarlo. Il Fondo monetario internazionale vuol mettere le mani sulla Turchia per ridurla come la Grecia.
Erdogan non si è arreso. Ha chiamato a raccolta il suo popolo contro il golpe finanziario mondialista. Sarà un confitto che vedrà coinvolte forze e Stati come l’America contro la Turchia, un Paese che vuole difendere la sua indipendenza e il suo modello economico.
Compreso la Banca centrale nazionalizzata.