La notizia della morte dell’editore Cesare De Michelis, presidente della Marsilio, scuote il mondo della cultura italiana. Lo ricordiamo con il ritratto che gli ha dedicato il grande scrittore e storico della musica (nonché suo amico) Paolo Isotta, sul Fatto Quotidiano e nell’intervista da lui rilasciata al quotidiano Libero in sua memoria. (gv)
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Per fortuna Cesare De Michelis è morto nel sonno, senza accorgersene. Parlarne, per noi che restiamo, è un dovere di testimonianza. Culturale, affettiva.
Veneziano, era professore di letteratura italiana all’Università di Padova. Nel 1965 egli e il fratello Gianni rilevarono la proprietà della casa editrice nata nel 1961. Il nome è un meraviglioso programma. Marsilio, padovano, l’autore del Defensor pacis, considerato dalla Chiesa acerrimo nemico, è uno dei fondatori del pensiero politico moderno e della stessa moderna democrazia. La Marsilio è la casa editrice italiana che più di ogni altra ha il culto della libertà. Non solo per il fatto di ospitare voci libere, ma anche per quello di garantire libertà di espressione a scrittori diversissimi fra loro.
La casa editrice egli l’ha fatta sopravvivere e prosperare. Un colpo di genio di parecchi anni fa fu per esempio l’acquisizione dei gialli scandinavi. Un mondo! Se si pensa all’angustia dei varî commissarii Ricciardi e roba simile, che oggi rappresentano il cosiddetto noir… Ma non solo. De Michelis fu capace di convivere con la Rizzoli. Poi chi la reggeva la mandò allo sbaraglio, essa andò alla Mondadori e lui e Gianni ebbero il coraggio di ricomprarsela, la Marsilio, di tasca propria. Oggi pochi imprenditori rischiano del loro, mi pare. Adesso – è cosa dell’ultimo anno – Cesare è riuscito a costituire un’alleanza con la Feltrinelli, che ha la migliore rete distributiva italiana.
Mi auguro che adesso che non c’è più qualcuno rilegga, o legga i suoi libri. Della letteratura aveva una conoscenza sterminata: credo fosse il più importante nostro settecentista. Ma la conoscenza si congiungeva all’amore. Egli amava la letteratura con una violenza quasi fisica; e questa si congiungeva con un’ironia tipicamente veneziana. Nella sua conversazione sentivi Folengo e Goldoni. C’era lo spirito pieno di bonomia di Cesco Baseggio e, a volte, il duro sarcasmo di Foscolo. Cesare non faceva nulla per celare il disprezzo che nutriva per tanti. La conversazione con lui era uno dei più rari piaceri che si possano avere. Ormai sarà per me uno dei più eletti patrimonî della memoria. E torno all’uomo di cultura. Abitava, con la sua Emanuela, in una casa di quella parte di Venezia ancora un po’ agreste, Dorsoduro. La mia preferita. È un luogo abitato dal silenzio. Una specie di casa colonica, anzi una coppia di case coloniche. La seconda, adibita solo a biblioteca. La prima, fra i libri qualche angusto corridoio permette il passaggio. Saranno centomila libri, acquisiti non per quell’avaro desiderio di possesso di certi collezionisti – il possesso fine a se stesso – ma per l’amore che vi portava. Dovevano essere centomila, più della stessa biblioteca di Giuseppe Galasso.
Quando scompare un uomo importante, l’umana vanità porta tutti a raccontare dell’ultima volta che l’hanno visto… A vantare l’amicizia che li univa al defunto. È una sorta di appropriazione, a non dire espropriazione. Debbo vincere il timore di apparire ridicolo se racconto che Cesare era per me un amico del cuore, un fratello maggiore. Mi seguiva con occhio severo e insieme pieno di indulgenza. Il mio primo libro per la Marsilio uscì nel 2014, ed erano trent’anni che non riuscivo s scriverne uno importante. Negli anni mi sollecitava pazientemente, senza avere fretta. Se ho vinto quella sorta di blocco letterario, nato anche dal mio esser allora troppo coinvolto nella critica musicale – quanti anni buttati! – lo debbo a lui. Il suo esempio mi sarà un costante aiuto per le mie prossime opere, da quella in bozze a quelle che scriverò. Se ne scriverò: oggi viviamo un giorno (carpe diem), mentre discorriamo il tempo invidioso fugge (dum loquimur fugerit invida aetas), e non dobbiamo fondare sulla certezza che altri ne verranno: quam minimum credula postero: dice Orazio, dell’amabile scetticismo del quale Cesare è stato uno degli eredi.
*Da Il Fatto Quotidiano
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Riportiamo di seguito il testo dell’intervista concessa da Paolo Isotta a Libero in ricordo dell’editore veneziano.
Lei è il decano degli autori della “Marsilio”. Vuole commentare la scomparsa dell’editore De Michelis?
Forse, ora ch’è scomparso Vittorio Strada, un grande del quale la “Marsilio” aveva appena pubblicato un libro, in effetto lo sono. È molto difficile parlare di un amico del cuore quando se n’è appena appresa la fine. Per fortuna è morto nel sonno, senza accorgersene. Persino un condottiero quale Cesare (Giulio, dico: Cesare De Michelis è stato davvero pur egli un condottiero: dell’editoria) dice che la migliore morte è “quella che giunge inavvertita”. Ciò mi consola per il mio amico.
Come vi siete conosciuti?
Non ricordo nemmeno da quanto tempo. Ci rispettavamo a distanza, parandoci col “Lei”. E lui, con discrezione, pazienza, mi chiedeva di pubblicare una raccolta di articoli, scelti fra i miei elzeviri del “Corriere della Sera”. “Collectanea non ne faccio!”, rispondevo. In effetto, a parte le memorie dei cuochi e dei calciatori, che sono ciò che “tira” di più, oggi la gran parte dei cosiddetti libri sono raccolte di articoli. I celebri intellettuali questo fanno … Io, sono superbo. Peraltro, erano trent’anni che un libro vero non lo scrivevo. Avevo una specie di blocco. La pazienza di Cesare mi aiutò a vincerlo. Il mio libro di memorie La virtù dell’elefante lo avevo incominciato, come per miracolo, il 16 luglio 2013. A settembre ne portai una metà a sei editori. Venni respinto da tutti e sei. Allora mi incontrai con lui sulla terrazza dell’”Europa”. “Non vorrei apparisse che La considero una ruota di scorta. Ho un libro rifiutato da sei editori: Rizzoli, Mondadori, Bompiani …”. Allungò la mano verso il dattiloscritto. Qualche giorno dopo mi chiamò: “Siamo fieri e felici di pubblicarLa!” Mi seguì con un misto di severità e di indulgenza meraviglioso. La stessa adottata in seguito. Un editore che legge i libri da lui editi, oggi è un prodigio, un monstrum! Adesso ne ho uno che uscirà a ottobre: nato con lui; ma i prossimi, se ne scriverò, sapendo di non aver più Cesare sovrastante, non saranno né così facili né così piacevoli. Vede, fin qui ho parlato di me: l’umana vanità porta a mettere, dirò così, il cappello sulla cassa da porto per espropriarla a proprio uso; ma l’ho fatto per far capire che uomo fosse e quanto gli debba!
Torniamo al condottiero dell’editoria.
De Michelis, veneziano, era professore di letteratura italiana all’Università di Padova. Nel 1965 egli e il fratello Gianni, il politico, rilevarono la proprietà della casa editrice nata nel 1961 a opera di un gruppo un po’ eteroclito. Ma il nome è un meraviglioso programma. Marsilio, padovano, l’autore del Defensor pacis, considerato dalla Chiesa acerrimo nemico, è uno dei fondatori del pensiero politico moderno e della stessa moderna democrazia. La Marsilio è la casa editrice italiana che più di ogni altra ha il culto della libertà. Ospitar voci libere e garantisce libertà di espressione a scrittori diversissimi fra loro e portatori di tesi e posizioni anche opposte. Per esempio vi convivono pazzi del calibro di Vittorio Feltri e del mio – che, peraltro, siamo amici del cuore da una vita.
Questo è molto bello.
I meriti di De Michelis non si fermano qui. La casa editrice l’ha fatta sopravvivere e prosperare. Un colpo di genio di parecchi anni fa fu l’acquisizione dei gialli scandinavi. Un mondo! Se si pensa all’angustia dei varî commissarii Ricciardi e roba simile, che oggi rappresentano il cosiddetto noir… Ma non solo. De Michelis fu capace di convivere con la Rizzoli quando questa era un editore importante. Poi chi la reggeva la mandò allo sbaraglio, essa andò alla Mondadori e lui e Gianni ebbero il coraggio di ricomprarsela, la Marsilio, di tasca propria. Oggi pochi imprenditori rischiano del loro, mi pare. Adesso – è cosa dell’ultimo anno – Cesare è riuscito a costituire un’alleanza con la Feltrinelli, che ha la migliore rete distributiva italiana.
Come vede quest’ultima joint-venture?
Potrà essere foriera di ottime cose. Alla Feltrinelli saranno così intelligenti da lasciare alla Marsilio una propria fisionomia. Non credo sia per giungere una fusione del catalogo. Ma in tal caso, mi diverte l’idea che Feltri e io figureremmo con Roberto Saviano e Erri De Luca …
E De Michelis uomo di cultura?
Mi auguro che adesso che non c’è più qualcuno legga i suoi libri. Della letteratura aveva una conoscenza sterminata: credo fosse il più importante nostro settecentista. Ma la conoscenza si congiungeva all’amore. Egli amava la letteratura con una violenza quasi fisica; e questa si congiungeva con un’ironia tipicamente veneziana, irreproducibile. Nella sua conversazione sentivi Folengo e Goldoni. C’era lo spirito pieno di bonomia di Cesco Baseggio e, a volte, il duro sarcasmo di Foscolo. Cesare non faceva nulla per celare il disprezzo che nutriva per tanti. La conversazione con lui era uno dei più rari piaceri che si possano avere. Ormai sarà per me uno dei più ricchi patrimonî della memoria; ch’è poi, la memoria nostra, del cuore e della ragione, la sola forma di sopravvivenza oltre la materia che ci sia data … Abitava, con la sua Emanuela, in una casa di quella parte di Venezia ancora un po’ agreste, Dorsoduro. La mia preferita. È un luogo abitato dal silenzio. Una specie di casa colonica, anzi una coppia di case coloniche. La seconda, adibita solo a biblioteca. La prima, fra i libri qualche angusto corridoio permette il passaggio. Saranno centomila libri, acquisiti non per quell’avaro desiderio di possesso di certi collezionisti – il possesso fine a se stesso – ma per l’amore che vi portava. Dovevano essere centomila, più della stessa biblioteca di Giuseppe Galasso.