Una premessa. Noi di Barbadillo siamo in solitudine nell’area patriottica perché scientemente ignoriamo – da anni – le intemerate fuori tempo delle varie Boldrini e Saviano. Non per snobismo, ma perché consideriamo l’opposizione al sovranismo di questi ambienti strumentale, poco interessante, prevedibile e anche un po’ noiosa. Insomma quando loro attaccano, noi siamo altrove, a vedere un vecchio film francese tratto da un romanzo di Drieu o a discettare sui nuovi patriottismi nel mondo tra calcio, birra e soft power.
Stavolta facciamo una eccezione. Il Foglio, quotidiano anti-sovranista sul punto di avere una crisi di nervi (perciò piacevole da leggere), pubblica oggi un articolo di Alessandro Del Lago. sociologo di sinistra, firma del Manifesto, che attacca Roberto Saviano. E lo fa con argomenti che noi – dal fronte opposto – condividiamo. E li riportiamo qui perché la parte riflessiva della classe dirigente patriottica che passa (saltuariamente) da Barbadillo, possa comprendere un modello di analisi indispensabile per dare basi solide ad una proposta politica alternativa. Per Del Lago gli argomenti di Saviano contro Salvini sono deboli e strumentali, e alimentano una distinzione tra buoni e cattivi che non muove una foglia nell’opinione pubblica, anzi rafforza le condizioni delle fazioni in campo. Nei fatti Del Lago, senza volerlo, dimostra quanto Saviano sia lontano dall’archetipo dell’intellettuale, dal momento che fa il capo-ultrà di chi crede – sui social, mica nella realtà – che occogliere scriteriatamente immigrati dal Sud del mondo è pratica che lava la coscienza e rende utopisticamente “de sinistra”. L’intellettuale invece dovrebbe scandagliare gli interstizi della società, mostrare gli smottamenti degli umori dei cittadini ormai lontani dalle ideologie quanto dalle utopie immigrazioniste. Saviano invece, con un lessico da propaganda fuori moda, chiama Salvini “ministro della malavita”, insiste sulla presenza di mafiosi ad un comizio del ministro in Calabria (come se si prendesse il dna dei partecipanti ai comizi di destra o di sinistra…) e punta tutto sul cinismo del leader del Carroccio.
La realtà racconta altro. La battaglia dei sovranisti contro i trafficanti di carne umana è sacrosanta ma non convince Saviano per pregiudizi ideologici. Eppure ha sfondato nell’opinione popolare. I farmacisti che curano le prostitute nigeriane o i baristi costretti a chiudere le proprie attività di famiglia dopo la sostituzione etnica che cambia forma ai nostri quartieri non parlano la neo-lingua di Saviano, non si riconoscono nella distinzione che lo scrittore traccia tra amici e nemici. Semplicemente sono la nuova Italia, che avrebbe bisogno di intellettuali veri, pronti a cogliere la necessità di un armistizio tra gli ultimi da coniugare con il rispetto della base sociale, ovvero il riconoscimento dei diritti (sempre più ridotti) dei cittadini italiani, non barattabile con il sogno di un mondo senza frontiere.
Noi che amiamo il calcio, con tutti i suoi colori, e ci siamo riuniti sotto l’insegna di un calciatore indio-peruviano, siamo a disagio sia davanti alle prevedibili articolesse di Saviano che ai toni rudi dei santoni pro nuovi muri. Siamo convinti che i confini siano sacri e che è un male instillare nei giovani chiusure mentali pericolose. Accogliere i profughi è un dovere, far saltare gli equilibri delle nostre società precarie significa moltiplicare i conflitti sociali, senza poterne poi governare le conseguenze. Perciò abbiamo bisogno di intellettuali veri, non di prosatori caricaturali per le tifoserie più retrive sugli spalti.