Ci vuole passione. E intelligenza e cultura per trasformare una città in una felice terra di mezzo dell’Arte. A Siracusa, per poco più di due mesi, la Musa della tragedia ha chiamato a raccolta le sue sorelle nello spazio più suggestivo per fare parola, coro, musica e danza e sono arrivate anche Clio, Minerva e Apollo ad accompagnare la festa del Teatro con il pensiero e la poesia. Questo accade a Siracusa, da quando la direzione artistica di Roberto Andò ha fatto del ciclo di Rappresentazioni Classiche del Teatro Greco di Siracusa una festa dell’arte e per l’arte. Andò ha chiamato, quest’anno, registi di fama mondiale come Emma Dante e Yannis Kokkos che hanno messo in scena due tragedie, “Eracle” e “Edipo a Colono”, diverse nella concezione e nella messinscena ma simili nella capacità di rendere inquietante e problematico il tema scelto da Andò: la scena del potere. La scena “o-scena” del potere. Perché i due re di Tebe Edipo ed Eracle, escono di scena, l’uno assorbito dalla Natura l’altro salvato dalla φιλία (filìa) di Teseo. Nel terzo spettacolo al regista Giampiero Solari tocca la scena del populismo (stavolta è un’entrata in scena?) con la commedia “I Cavalieri”. Il Festival di Siracusa si arricchisce di molti eventi collaterali: le lectio magistralis di Massimo Cacciari, Luciano Canfora e Alessandro Baricco e gli spettacoli “Conversazione su Tiresia”, la replica di “Rane” e “Palamede, l’eroe cancellato” di Alessandro Baricco e con Valeria Solarino. Un Festival di grande pregio e con un respiro che valica lo spazio austero e solenne della cavea del Teatro di Siracusa, che arriva negli altri teatri (Emma Dante sarà a Pompei, Yannis Kokkos a Epidauro) e in televisione, che promuove le eccellenze di Siracusa a livello nazionale e internazionale. Una direzione artistica, quella di Roberto Andò, avveduta e raffinata, che si conclude quest’anno ma che lascia un segno importante e un monito: impossibile tornare indietro da un’idea di esegesi del teatro capace di esaltare il testo e di tradirlo in nome di una modernità che sia mezzo e non fine; impossibile prescindere da un linguaggio del teatro e nel teatro che coinvolga un pubblico sempre più vasto e consapevole; impossibile non scegliere direttori artistici capaci di tale visione dell’arte.
L’ultimo spettacolo di questo Festival “Palamede, l’eroe cancellato” di Alessandro Baricco è l’eco necessaria di quel monito, è un omaggio al teatro e al pensiero. Al teatro come spazio scenico. Al pensiero come sapienza illuminata. La messinscena di “Palamede, l’eroe cancellato” è teatro totale. Un’opera in cui costumi, luci, immagini e suoni sono un tutt’uno con la capacità performativa di Baricco e di Valeria Solarino. Totale, ancora di più: ogni pietra, ogni albero, ogni parte della cavea, ogni persona presente è andata in scena. Lo spettatore è divorato dall’incanto del gioco di vuoti e di pieni. La scena è spoglia e buia: un corridoio in fondo allo spazio dell’orchestra polverosa e segnata solo da un ombelico di sabbia. La scena è piena e luminescente: irrompono man mano cerchi e fasci di luce ora psichedelica ora calda, la musica e il rumore di passi e di ovattate raffiche di mitraglia e respiri ansimanti in sottofondo, e poi Baricco lo scrittore- un aedo antiomerico- e infine Valeria Solarino l’eroe cancellato. Al gioco di sottrazioni e di somme non sfugge il pubblico. Baricco sa il suono dell’epica, il gesto eccezionale che si fa mito, la fascinazione dei luoghi. E’ un genio della prossemica: non basta ascoltare la sua voce sinfonica e ironica, bisogna vederlo mentre attraversa lo spazio scenico. Alessandro Baricco coinvolge il pubblico nel ritmo del suo racconto e il pubblico ride e applaude, quasi gli parla accanto. Baricco vuole questo: portare ogni spettatore dentro il fascino di una “storia feroce”, che lo ha perseguitato per farsi scrivere con due mani, per diventare teatro con più mani.
Le mani di chi ha firmato i luminismi e le scene, Roberto Tarasco cui va il merito di aver donato malia allo spettacolo; di Nicola Tescari le cui musiche originali sono stati il climax del racconto. E sono le mani della splendida Valeria Solarino. L’attrice ha dato all’eroe giustiziato da traditore la rabbia, la concitazione, gli stacchi di voce e di braccia in un monologo che è sublime prova d’attore. Un monologo difficile, tratto dall’apologia di Gorgia da Lentini, che la Solarino ha recitato sottraendo ai gesti e alla voce la femminilità e restituendola nell’eleganza dell’incedere, aiutata anche dallo splendido costume metà armatura metà peplo disegnato da Giovanna Buzzi. Mentre Palamede parla, il pubblico ammutolisce, diventando quasi parte di quel silenzio che per l’eroe greco fu condanna. Finché esplode l’applauso. Ormai lo spazio del teatro è pieno e può partire l’intreccio di luci, di musiche, di voci: fuori campo quella dello scrittore, in scena quella del personaggio per riavvolgere le ultime frasi di una storia ingiusta.
Con “Palamede, l’eroe cancellato” la scena del potere mostra il suo lato più feroce: la vendetta dell’oblìo. Palamede è l’eroe assente nell’epica omerica. Baricco racconta, leggendo da Filostrato, che fu l’ombra di Odisseo a chiedere a Omero di tacere di quel condottiero greco, inventore di mille invenzioni (gli scacchi, la scrittura, le unità di misura, il nome delle stagioni sono solo alcune), odiato dal re di Itaca al punto da fabbricare prove false a suo carico e spingere Agamennone a condannarlo alla lapidazione e allo scempio del corpo. Fu l’amico Achille a dargli onorata sepoltura prima di ritirarsi irato nella sua tenda e di smettere di combattere (Baricco qui decide di cancellare Patroclo, accogliendo altri racconti sulla guerra di Troia). Baricco mette in scena il duello tutto di mente tra la canaglia Ulisse e l’illuminato Palamede e lo racconta come scontro di civiltà tra la sapienza antica fondata sul volere degli dei e la sapienza tecnica e laica. Perde Palamede “l’usignolo delle Muse che non aveva fatto male a nessuno” (il verso è l’unico rimasto di una tragedia di Euripide dedicata all’eroe greco). Esce di scena Palamede, il cui potere era l’intelligenza. Esce dalla scena della memoria.
Vince Odisseo e vince Omero: “il poeta tacque e tutti credettero a lui e alla bellezza cristallina dei suoi versi” canta Baricco, invitando chi ascolta a capire e carpire il senso di questa storia che investe la giustizia dell’uomo e la responsabilità dell’intellettuale, dello scrittore. Di questa responsabilità Baricco mostra consapevolezza e compiacimento e il pubblico gli tributa un’ovazione, chiudendo così la stagione tra le più belle del Teatro di Siracusa. Quel teatro ieri sera ha capito che il suo spazio può essere aperto a ogni sperimentazione, a ogni tradizione.