Un’astronave senza benzina cade, a pezzi, e precipita. Il botto è forte, l’impatto è tremendo: è finita un’altra (grande) storia di calcio popolare italiano. A Bari, i galletti salutano la serie B.
La passione del pubblico più numeroso di tutta la cadetteria (e di almeno mezza serie A) non basta perché mancano 4,6 milioni per ricapitalizzare e la Covisoc non ha fatto sconti, non ha concesso tempo ai balletti della società, degli acquirenti (veri o presunti?), delle istituzioni. Questo deve farci riflettere: al calcio, la gente non basta più.
Intanto scivolano via i ricordi di un pallone che ha vissuto il sogno, poi l’incubo, di una stagione calcistica ormai ai titoli di coda. È il 1989 quando a Bari viene inaugurato lo stadio San Nicola. Lo chiamano l’Astronave. Ospiterà i mondiali delle notti magiche, quelli di Italia ’90. Vedrà le gesta del Camerun mitico di Roger Milla, dei Leoni Indomabili che quasi sfiorarono la semifinale. Poi la finalina tra gli azzurri di Schillaci e gli inglesi di Gascoigne. Nel ’91 la Stella Rossa vince, a Bari, la finale di Coppa dei Campioni. La Champions League non esiste ancora e Sinisa Mihajlovic è un giovanissimo talento che da solo trascina uno squadrone alla vittoria continentale.
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Gli anni ’90 si aprono in serie A. Sono anni ruggenti, c’è Joao Paulo che è un predestinato ma deve fermarsi perché un difensore un po’ troppo rude gli stronca le (immense) potenzialità. Arriva Zvonimir Boban, direttamente da una Zagabria in guerra. A metà del decennio, il mito e le soddisfazioni.
Nasce il trenino che farà impazzire tutt’Italia. Succede il 14 ottobre del 1994 quando Sandro Tovalieri, il Cobra, stronca (a San Siro) l’Inter di Bergkamp.
A Bari, l’anno dopo, Igor Protti centrerà un’impresa strappalacrime: è capocannoniere di A pur giocando in una squadra che alla fine retrocede. Una doppietta, lui, la serve (di nuovo) all’Inter al San Nicola. A gennaio, Roberto Carlos, Javier Zanetti e Roy Hodgson se ne tornano conciati per le feste dopo essere passati in vantaggio: 4-1.
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Saranno gli anni di campioni e meteore, carisma e sudore: Rachid Neqrouz, il difensore “stalker” che palpeggiava gli avversari (tra cui Filippo Inzaghi). E poi gli anni del talento, della fucina di campioni: Gianluca Zambrotta e Nicola Ventola. Su tutti la stella dispettosa di Antonio Cassano che proprio contro l’Inter, dimostra a tutt’Italia quanto possa essere bello il calcio.
Questa storia è finita. A Bari l’ennesimo assalto alla A è fallito, una classe imprenditoriale s’è rivelata evidentemente inadeguata; il San Nicola non è più un tempio gremito, ma una catapecchia cadente. Nemmeno l’Inter è più quella di una volta, ormai.
L’ultima promessa di Italia ’90 è tramontata. Erano anni in cui credevamo che la storia fosse finita e la metafora del Paradiso terrestre, ora che il Muro di Berlino s’era sgretolato, potesse, finalmente, inverarsi. Che non avremmo avuto più problemi, dopo tanto patire. Grazie a un mondo interconnesso e globale che non avrebbe atteso altro che inondarci di soldi, benessere e speranza.
Non è stato così. Anche nel calcio. Un’era è finita e, al di là della fede calcistica, la fine del Bari non può che sancire come (anche) il pallone sia diventato un affare globalizzato, in cui contano più i diritti tv, i mercati esteri, i followers su Instagram che la passione e i sacrifici della gente dello stadio.