C’è bisogno di pensieri lunghi. A destra e a sinistra. Pensieri lunghi sui quali innervare i processi di cambiamento, politici e sociali. Pensieri lunghi che siano l’esatto contrario delle vecchie visioni ideologiche, dei rigidi (ed irrealistici) “manifesti” di stampo ottocentesco. C’è bisogno soprattutto di rinnovati strumenti rappresentativi, in grado di dare voce alle istanze concrete della società, proiettandole su scenari più ampi. In questo ambito tutto da ripensare è il ruolo dei sindacati. E’ tema di questi giorni. Ed è un tema cruciale che non permette ambiguità.
Quando il Ministro per lo Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, pone la questione della rappresentanza sindacale, con l’idea di “stimolare un processo di aggiornamento”, che cosa intende ? Vuole continuare a perseguire i percorsi di delegittimazione del mondo sindacale, portati avanti, negli ultimi anni dalla sinistra di governo, o ipotizza altre ipotesi di lavoro ? Intende assecondare le vecchie logiche conflittuali o guarda a più organiche soluzioni partecipative ?
In attesa di capire gli orientamenti del Ministro e più in generale dell’attuale esecutivo non ci sembra banale rilanciare il tema della cogestione, nel suo più ampio e compiuto significato.
Letto, per anni, insieme a quello della “partecipazione sociale” in un’ottica “ridistributiva” (rispetto ai livelli salariali) e “compensativa” (rispetto agli accessi del capitalismo e alle esasperazioni classiste) il tema della cogestione assume oggi un valore tutto particolare proprio a partire dalle questioni strettamente legate alla crescita economica e alle correlate insufficienze “di sistema”, in merito alla rappresentanza delle competenze, alla pianificazione economica, alle politiche produttive ed occupazionali.
Mettere il tema della cogestione al centro dell’attuale confronto sulla ripresa economica e sull’occupazione non vuole dire sottovalutare forme d’intervento straordinarie, finalizzate a “tamponare” le emergenze in atto, ma andare oltre, guardare cioè al di là della crisi, cogliendone, per il nostro Paese, le ragioni di fondo e cercando di portare a soluzione l’insieme degli “input” negativi dal punto di vista produttivo.
Cogestire il cambiamento significa questo: affrontare finalmente le questioni “strutturali” della crisi, sulla base di un metodo organico ed inclusivo di “lunga durata”, che punti sul “capitale immateriale” quale fattore essenziale di crescita sociale e quindi di aumento della produttività, andando finalmente oltre le antistoriche contrapposizioni tra capitale e lavoro, favorendo la crescita di un nuovo modello di sviluppo, fondato sulle competenze, la partecipazione, la responsabilità, il merito.
Al di là degli slogan e delle facili battute ad effetto solo da qui può partire una nuova stagione di crescita per l’Italia: dalla riscrittura di un nuovo lessico politico ed economico-sociale, intorno al quale aggiornare parametri, strategie produttive, politiche d’intervento, perfino una “visione della vita e del mondo”, un pensiero lungo insomma, che dia ali all’auspicato processo di cambiamento. Con al centro il ruolo del lavoro quale strumento di emancipazione sociale, dalle aziende all’insieme del Sistema-Paese.