Ernesto Galli della Loggia si schiera a favore dell’africanizzazione dell’Italia. Il miraggio di un tardivo melting pop lo ha indotto a rinnegare la sua identità di intellettuale che rifletteva sulla morte della patria italiana e di analista estraneo alla sottocultura dominante. Negli Stati Uniti la prima presidenza afroamericano di Obama ha risvegliato conflitti etnici di una gravità inimmaginabile. La presidenza di Obama invece di unire l’America l’ha divisa e la maggioranza dei bianchi si è sentita oppressa dalla coalizione delle etnie minoritarie che ha portato alla Casa Bianca un presidente afroamericano. Tra le tante sciocchezze sostenute da Galli della Loggia c’è la facezia degli italiani che non fanno più figli. E perché quello italiano è diventato un popolo sterile? La risposta non è tanto peregrina. Prendete un Paese come il nostro, che negli anni ’70 aveva la classe operaia pagata meglio di quella tedesca, e privatelo dell’autonomia monetaria. Costringetelo al divorzio con Bankitalia che comprava il nostro debito pubblico come in parte ha fatto la Bce di Draghi. Costringetelo a indebitarsi con la speculazione finanziaria pagando interessi a due cifre. Costringetelo a pagare in dieci anni mille miliardi di interessi sul debito pubblico. 10 anni prima pagava appena l’1%. Costringetelo a sopravvivere appesantito dagli interessi usurai. Sottoponetelo nel 2011 al golpe finanziario dello spread. Imponetegli uno sciagurato governo Monti che per conto dell’Europa ha disossato la nostra economia. Dopo questo apocalisse ventennale il Paese si è rattrappito, impaurito, intristito. Mancano le risorse soprattutto morali per creare una famiglia e per procreare. I governanti, ascoltate Boeri dell’Inps, fanno intravedere un futuro di povertà, precarietà, un futuro quaresimale. I figli sono l’ottimismo del futuro. Se i governanti lo rappresentano come un perenne e grigio autunno che non sarà seguito dalle altre stagioni, come si fa a ad affidare i figli nella tundra in cui è stata trasformata la nostra vita. I giovani più dotati di iniziativa è più professionalizzati abbandonano il Paese per lavorare e fare figli altrove. Da noi arriva il sottoproletariato delle brulicanti periferie africane e asiatiche. Semianalfabeta, spesso violento, ossessionato da forme di religiosità arretrate. Affamato del qui e subito delle pubblicità televisive.
Emigrare è un atto politico in questa fase storica. È un progetto mondialista e disgregatore di popoli e comunità. È conflitto biopolitico. È condanna all’esilio per tutti quei nativi che non tollerano le nuove invasioni. È negazione dello Stato. Diceva Carl Schmitt che l’uomo è legato alla terra, al suolo in cui è nato, alla lingua e alla cultura dei suoi avi. Questo legame, queste radici sono il nomos supremo, la legge che viene distrutta dal mondialismo finanziario e dagli invasori che ci invia. Per ora disarmati.