Secondo l’ “Annual Economic Survey of Employee Share Ownership in European Countries 2017”, il sondaggio sulla partecipazione azionaria dei dipendenti nei Paesi europei, il 2017 è stato un nuovo anno record per la partecipazione azionaria dei dipendenti. Nelle grandi imprese europee l’86,6% propone ai propri dipendenti piani di azionariato. Dal 2006 ad oggi questa percentuale si è accresciuta del 4% medio annuo, a dimostrazione di una crescita solida.
Anche il numero di azionisti dipendenti ha ricominciato a crescere: 7,5 milioni di persone, dipendenti delle grandi imprese europee. Se aggiungiamo il milione di dipendenti che partecipano al capitale in piccole e medie imprese, il dato totale arriva a 8,5 milioni, interrompendo finalmente il calo del tasso di democratizzazione dell’azionariato dei dipendenti.
Il consolidarsi delle politiche partecipative non nasce per caso. Negli anni della crisi, alcuni Paesi europei, fra cui il Regno Unito, hanno scelto di aumentare le incentivazioni fiscali per promuovere la partecipazione dei dipendenti. Altri, con in testa la Francia e l’Italia, hanno invece preferito sostenere i consumi delle famiglie, sacrificando le agevolazioni per risparmi a lungo termine e la partecipazione dei dipendenti. Ciò ha provocato un severo impatto nel tasso di democratizzazione per l’azionariato dei dipendenti in Europa. Ma con l’uscita dalla crisi, a partire dal 2013, molti Paesi Europei hanno ripreso le politiche di incentivazione.
Le previsioni , anche in questo ambito, sono positive. In Austria il 2018 vedrà la nascita di un terzo schema agevolativo, in aggiunta ai due già presenti, che consentirà l’esenzione fiscale e contributiva dei piani di azionariato fino ad € 4.500,00 annui. In Francia, nel 2018, sarà ridotta la quota a carico del datore di lavoro sui contributi sociali. Anche Irlanda, Paesi Bassi e Svezia adotteranno nel 2018 nuove legislazioni. La Polonia ha allo studio una legislazione complessiva molto promettente. In Italia, al contrario, le agevolazioni fiscali languono e la partecipazione dei dipendenti non è mai all’ordine del giorno.
Il decreto interministeriale del 20 giugno 2016, che ha stabilito i criteri di utilizzo del Fondo finalizzato a incentivare la partecipazione dei lavoratori al capitale e agli utili delle imprese e per la diffusione dei piani di azionariato rivolti ai lavoratori dipendenti, non ha sortito grandi effetti.
All’Italia è mancata una forte volontà politica ed una convinta determinazione sociale, in grado di spingere realmente le politiche partecipative. Il dettato costituzionale è lettera morta. Le norme attuative, di legislazione in legislazione, languono. Al di là di qualche accordo aziendale non si va. Comunque troppo poco per trasformare la storica aspirazione dei lavoratori agli utili e alla gestione delle imprese in una realtà trainante per l’intero sistema Paese.
Eppure i tempi sono maturi. Non solo – come abbiamo visto – grazie all’ esempio delle politiche incentivanti realizzate in molti Paesi europei, quanto soprattutto per la rottura di vecchie chiusure ideologiche. Oggi, in un contesto socio economico in profondo cambiamento, è proprio rispetto alle domande di flessibilità produttiva e funzionale che le politiche partecipative possono dare risposte efficaci, sia sul piano della produttività che su quello della giustizia sociale. Con in più un valore aggiunto per la tenuta ed il rilancio del Sistema Paese: l’adozione di relazioni industriali improntate alla fiducia reciproca piuttosto che al conflitto.
Su questi crinali la partita è aperta, avendo alle spalle una grande scuola dottrinaria, base essenziale del Sindacalismo Nazionale, e di fronte una concreta prospettiva di lavoro, in grado di sospingere i lavoratori verso una più ampia assunzione di responsabilità. Alle forze politiche di farsi carico in Parlamento di queste nuove sfide.