La levata di scudi del sindaco Raggi contro la mozione di Fratelli d’Italia di intitolare una via a Giorgio Almirante, approvata dall’Aula Giulio Cesare di Roma, mi ha portato alla mente un libro letto più di 30 anni, “Esame di coscienza di un fascista” scritto da Luciano Lucci Chiarissi. Fu pubblicato, credo per quanto riguarda la prima uscita nelle librerie, nel 1978. Quel libro è stato molto importante per me, al pari di un altro libro “Noi rivoluzionari” di Adalberto Baldoni.
Luciano Lucci Chiarissi durante la seconda guerra mondiale aveva combattuto nelle fila della RSI. Nel dopoguerra si era impegnato politicamente nei FAR, Fasci d’Azione Rivoluzionaria per arrivare fino al 1963, quando fondò il bimestrale L’Orologio e i Gruppi dell’Orologio, che furono uno straordinario laboratorio politico, una voce dissonante rispetto alla linea politica dei vertici missini. Ebbene torniamo al libro “Esame di coscienza di un fascista”; Lucci Chiarissi giungeva in qualche modo alla conclusione che l’Italia non aveva ancora chiuso i conti con il proprio passato. Riporto un brano di Lucci Chiarissi da un articolo di Luciano Lanna, pubblicato sul “Secolo d’Italia” il 29 giugno 2010 e ripreso da Roberto Alfatti Appetiti sul suo blog “L’eminente dignità del provvisorio”: “Al posto della tanta evocata “pacificazione” sull’onda di un generico e impolitico “volemose bene”, Lucci Chiarissi proponeva invece un percorso di “ripensamento” con il fine esplicito di «conoscere noi stessi per quello che siamo oggi veramente, e non per le maschere convenzionali che abbiamo dovuto o voluto assumere».
Tante nazioni hanno vissuto lacerazioni importanti tanto quanto la guerra civile italiana. Eppure, dopo alcuni anni, hanno saputo consegnare quei momenti agli studi e alle nuove ricerche degli storici; quei momenti drammatici e dolorosi sono usciti dal dibattito politico. Era il 1978 e Lucci Chiarissi lamentava questa incapacità italiana. Da allora sono passati 40 anni e ancora non si riesce, non dico ad avere una memoria storica condivisa, che forse è una bella favoletta, nemmeno a rispettare, tra avversari politici, gli uni le memorie degli altri, senza i fantasmi del passato e gli anatemi in nome di un antifascismo fuori tempo massimo, così come lo è il fascismo.