Quando non si sporca le mani, la poesia non esiste. Però, quando si tuffa nella realtà, la poesia esiste, è letta. Quando la musa sta sui campi delle battaglie, lei rivive. Han scritto: la poesia è morta. E’ vero. Il suo cuore è stato forato da un popolo di poeti egocentrici. Anni fa ci entusiasmò il vecchio Giovanni Raboni. Il quale, nel suo testamento lirico, cantò la sua battaglia politica. Incontrammo così un’esperienza di poesia non indifferente alla politica e al costume.
Con un poemetto di 456 versi, Sandro Veronesi ci porta sul campo del costume popolare e sui prati delle battaglie juventine. Il testo è pubblicato su corriere.it/cultura e sta lì per ricordare che la scrittura in versi rinasce con le passioni popolari. Veronesi allarga la schiera leggendaria dei cantori di Nostro Signore Pallone: Saba, Pasolini, Gatto, Sinisgalli, Acitelli,.. la schiera di quelli che cantarono le belligeranze sublimi del football.
Con “L’Juventus”, lo scrittore di ‘Caos calmo’ diviene testimone appassionato delle passioni bianconere. Le passioni dedicate alla squadra più corporativa d’Italia. La squadra più inter-classista. Quella degli operai metalmeccanici come degli Agnelli. Allora la Juventus, “…è la squadra del tifo inconsapevole / degli operai che tifano per il padrone…” Ed è la squadra dei “terroni che lavorano per la Savoia / dei preti, dei montanari, dei marinai, dei poliziotti, l’Juventus.”
Ma perché ‘L’Juventus’ ? L’apostrofo dice la pronuncia di chi non riusciva a dire la J, cioè i vecchi meridionali che s’accendevano d’amor per la Signora, si scoprivano silenziosi come Zoff, sapevano che Cuccureddu era un calciatore sardo di Alghero. Il fan juventino Veronesi, novelliere fiorentino e schietto, riferisce “Il mio poema è un regalo ai tifosi per il settimo scudetto di fila” e i suoi versi rinfrescano la Terza pagina del Corriere della Sera in un sabato di giugno pigro e accaldato.
“Vince, l’Juventus, vince sempre, / ma voi, fratelli miei / (siamo tutti fratelli, no?) / non capite perché.” Invece si comprende bene dove nasce il fascino di una squadra che ha vinto ma ha pure sofferto. Troppo. La sofferenza per la tragedia dell’Heysel. La delusione per le coppe europee lasciate agli avversari. Infondo, “ … siamo anche la squadra più perdente. Perché per noi è così: o primi o niente. E non è questione di presunzione.”
Ma il bianconero chi è? È il tifoso della profonda provincia italiana. “Uomini e donne che non vincono mai niente / salvo quando l’Juventus vince per loro.” Uomini e donne che non citano a memoria la formazione dei bianconeri. Tutti però sono uomini e donne che costruiscono “la patria dell’Juventus.” La patria che da Belluno arriva a Lecce, “l’interminabile provincia italiana”, una terra che fa del mondo di Lippi o Allegri “la sua sede, la sua tesoreria.”
Non sono solamente dedicati agli juventini questi versi sinceri di uno scrittore già premiato con lo Strega. Queste parole, descrittive ma nello stesso momento liriche, ricordano che una squadra è qualcosa di più di una banda di giovanotti, è un patrimonio immateriale. Insomma per Sandro Veronesi “L’Juventus è la Grande Retorica dell’Italia, / la Fidanzata d’Italia, l’Unità d’Italia, / il giro d’Italia, Miss Italia…”.