
Pomeriggio romano del 24 luglio 1943. Aria torrida e paura per i bombardamenti. In giro poche autovettura. Dinanzi a palazzo Venezia qualche poliziotto in borghese con aria distratta. Sul famoso balcone mancava la bandiera con il fascio, quella che voleva dire: il Gran Consiglio sta lavorando. Dalle cinque del pomeriggio sino alle due del 25 luglio, trenta uomini e Mussolini discussero le sorti italiane. Dopo il paese non fu più lo stesso. Cosa fu il 25 luglio che sancì la fine del Fascismo? Come fu preparato quel Gran Consiglio di cui abbiamo solo testimonianze successive, ossia gli appunti di Scorza e Federzoni? E poi, perché un verbale ufficiale della seduta non fu mai redatto? Storico di scuola defeliciana, Emilio Gentile, in Il 25 luglio 1943, Editori Laterza, pagg. 288, risponde alle domande inquadrando la bufera di un’estate di guerra, inseguendo uno per uno i traditori del Fascismo, ritrovando le mosse, le attese, i timori per un evento raccontato attraverso una varietà di documenti.
Il sovrano aveva in tasca “il suo piano di colpo di Stato’ con il relativo corollario oscuro e pasticciato: centrali telefoniche da bloccare, postini e ferrovieri da trasformare in militari, miliziani da incorporare nell’esercito, mentre i gerarchi infingardi non sapevano che fare e i sotterfugi badogliani cominciavano a segnar l’Italia. Il racconto del 25 aprile è denso e la ricostruzione di Gentile conduce dentro un’improvvisazione storica di scelte e di personaggi. Con i gerarchi del Gran Consiglio che pensavano a mettersi in salvo e non avevano nessuna rotta. Anni dopo quei fatti, Vittorio Mussolini scrisse, “Il 25 luglio 1943 fu una cosa fatta in casa, autenticamente italiana.” Approdiamo dunque all’idea di una caduta del Fascismo estemporanea. Senza un verbale che registrasse le differenze nel dibattito del Gran Consiglio – con “ventidue contrastanti e contraddittori racconti di come accaddero le cose” -, tanto che al momento “si ha difficoltà a stabilire quale sia il più prossimo alla verità effettuale.” L’attenzione dello storico va sull’ordine del giorno Grandi, un documento ambiguo che preparava l’abbattimento del regime e il successivo strappo dall’alleanza italo-tedesca. Quando l’ordine del giorno Grandi fu letto agli altri gerarchi, molti di loro non lo compresero, quindi “risulta che essi non volevano affatto la destituzione del duce né la sua uscita di scena, anche se si unirono a Grandi e Federzoni nel criticare il regime totalitario e la concentrazione eccessiva del potere nella persona del Duce.”
Il personaggio, al centro dell’analisi, è Dino Grandi, uomo di forti incoerenze. Nel 1941, dal fronte greco, al Duce spediva lettere di fervore fascista; ma dopo, nei suoi diari, ecco le altre sue tendenze, “nelle trincee della Grecia avevo maturato, senza esitazioni di sorta, la convinzione che per compiere l’estremo tentativo di salvare il mio paese era necessario, inevitabile, il sacrificio di Mussolini.” Il grigio ispiratore della caduta di Mussolini, il compilatore del “piano temerario” del luglio 1943, scriveva lettere di devozione fascista qualche mese prima dei noti eventi. Pochi mesi prima, lo stesso Re, al quale Dino Grandi ricorreva, disse del gerarca, “Quell’uomo non mi soddisfa troppo. Non è un elemento sicuro, non ha schiena e con Mussolini recita la doppia parte.”
Il piano Grandi nacque improvvisato, come operazione scarsamente realistica, “Questo piano è condizionato da tre presupposti: il coraggio della monarchia; l’intelligenza degli alleati; il patriottismo degli antifascisti. Si verificheranno questi presupposti (…) Non lo so. Ma lo spero.” In poche parole, Grandi era l’ispiratore di un’indeterminatezza che non faceva i conti né con uno straccio di intesa politica, né con cinque divisioni tedesche già stanziate nella penisola, neppure con i valorosi italiani dimenticati nelle steppe russe o nelle isole del Mediterraneo.
Il recupero dei diari, le memorie delle prefetture, la capacità di fotografare i fatti fanno del lavoro di Gentile una nuova partenza per la ricerca. “La destituzione di Mussolini e la fine del Fascismo non erano lo scopo della maggiore parte dei firmatari dell’ordine del giorno Grandi. Essi non formavano un gruppo accomunato da motivi, propositi, obiettivi concordanti…” Il “25 luglio 1943” mostra un Mussolini stanco, malato, sbattuto dagli eventi bellici che lo avevano segnato profondamente. Da prima – conclude Gentile – il Duce pensò alla sfortuna che aveva abbandonato le sorti della patria; poi, invece, elaborò “la tesi del complotto e del tradimento.” L’occasione storiografica dimostra quindi la complessità di un avvenimento che, troppe volte, viene solamente narrato attraverso le solite immagini televisive dei fasci di marmo picconati sulle facciate dei palazzi in un pomeriggio estivo.
Troviamo un Mussolini affaticato per la disfatta militare. E il capo del regime avrebbe potuto fermare il tradimento Grandi, ma restò in attesa di una soluzione del sovrano sulla crisi militare, una soluzione che poi arrivò con l’ambiguità del 8 settembre 1943. Da Emilio Gentile sono rintracciate numerose testimonianze, come quella del Duce che avrebbe deciso di uscire di scena. Con una caduta decisiva. Giacché come scrisse in quei giorni drammatici, “Quando un uomo crolla con il suo sistema, la caduta è definitiva…” (Opera Omnia, XXXIV)
*Il 25 luglio 1943, di Emilio Gentile, Editori Laterza, pagg. 288, euro 18