Ormai è noto. Lo scorso 26 febbraio, la Santa Sede ha aperto gli armadi di casa e concesso, dopo oltre due anni di suppliche, al curatore Andrew Bolton, di poter esporre al Metropolitan Museum of Art di New York un numero di 40 tra oggetti e paramenti sacri. Ovviamente accostati alle realizzazioni di numerosi stilisti, a partire da Coco Chanel fino a Balenciaga e Versace, dove vi è una chiara ispirazione, se non copiatura, dei più pregevoli manufatti delle migliori sagrestie.
Così, pochi giorni fa tutto il gotha dello spettacolo e della moda è accorso ad una delle serate più mondane: un gala benefico per sostenere le attività del Costume Institute e l’inaugurazione appunto dei 5.500 metri quadrati dell’esposizione, visibile da maggio ad ottobre, dal titolo: “Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination“ (Corpi Divini: la moda e l’immaginario cattolico).
Cattolico, appunto. Ma tra il clamore suscitato per le mise di alcune star al limite del blasfemo, è andata in scena forse la più grande e a tratti certamente involontaria attestazione di “devozione” nei confronti della Tradizione, Cattolica appunto, tridentina per di più!
Solo e solamente cattolica non certo protestante o filobergogliana. Manifestazione in se ovviamente difettosa e mancante, se non a tratti da dimenticare, ma umanamente involontaria e sincera perché nell’imitazione si cela inequivocabile la stima e la volontà di voler essere qualcosa che non si è.
Per i più potrà sembrare uno sfregio, frutto della mondanità che crede di servirsi, oggi, anche dei mezzi propri della divina liturgia, invece, nonostante i reiterati tentativi di depauperare la Santa Liturgia da parte di molti all’interno della Chiesa, Essa rifulge da oggi anche per mano di coloro che tutt’altro hanno che dei servitori della Santa Chiesa; ciò non fosse per screditare ulteriormente le sciatterie di parati illecitamente confezionati in plastica e di bassa fattura, frutto delle aberranti teorie sessantottine di una “chiesa povera”, non oltre specificato cosa. Ma la meraviglia e lo stupore di tutto ciò non sono nuovi.
Il potere esercitato dagli oggetti liturgici ed ecclesiastici in genere va con strabilio da sempre ben oltre il sacro e le persone del sacro. Il paramento nasce da umane necessità tanto quanto le rappresentazioni bibliche all’interno delle chiese, ad esempio l’opera di Giotto nella Basilica di Assisi. Se non rispondessero ad una funzione non avrebbero motivo d’essere dove sono, chiaro sia che per decorazione avrebbero potuto fare qualsiasi altra cosa. Dunque la necessità ne prescrive la presenza e ne obbliga l’utilizzo, la funzione del parato e degli oggetti sacri non è fine a se stessa, ma complementare nel veicolare il messaggio.
Ora il problema, dalla riforma liturgia si è voluto accantonare non degli “oggetti” ma delle necessità provocandone un immenso quanto inspiegabile vuoto, concretamente visibile ed espresso nelle chiese vuote di fedeli. Ciò che accade oggi al Gala non è altro che la profana e parziale realizzazione dei capolavori prelevati dalle sagrestie vaticane: meravigliare, affascinare, destare emozioni e raccontare significati antichissimi che dalla riforma post-conciliare ad oggi sono stati accantonati, nascosti, bistrattati finendo nel migliore dei casi musealizzati, in Vaticano.
La differenza tra un museo in stato Vaticano o all’estero non esiste perché la funzione non viene espressa in nessuno dei due casi. Le emozioni che desterà, ai visitatori, il triregno di Pio IX, saranno solo una parte di quelle che un turista o pellegrino in visita a Roma poteva vivere nel vederlo sulla testa del legittimo portatore con tutto quanto ne conseguiva di seguito. Sarà questa l’ennesima occasione verso la riscoperta della vera chiesa ?! Qualcuno si accorgerà che le contraddizioni attuali altro non sono che il frutto di errate teorie che hanno spinto la sposa di N.S. ad un ciarpame di sciatteria accompagnato da menestrelli in chitarra ?!
Certamente il Gala tutto è tranne che l’intenzionale oscuramento della bellezzavoluto dalla chiesa di Roma da cinquant’anni ad oggi. Bellezza copiata già nel 1955/56 quando l’atelier delle Sorelle Fontana produsse per un film di Fellini, che non fu mai girato, il modello cosiddetto “Pretino”. Si trattava di un abito per Anita Ekberg, lunghezza da abito da cocktail, che nient’altro era che una talare filettata cremisi, abbottonata al femminile e completata da un saturno con tanto di nappe. Le tre stiliste temettero la scomunica, ma qualche tempo dopo ricevettero udienza presso il Santo Padre, Pio XII con la famiglia e le maestranze dell’azienda.
Bellezza in dialogo già alcuni secoli prima, dove era usanza tra le nobildonne donare i propri abiti realizzati con i tessuti più preziosi, alla chiesa, per farne confezionarne parati. Dunque niente di nuovo, se non un ancor più chiaro ritorno tramite la bellezza dalla tradizione cattolica di sempre attraverso i secoli, perché si sa, il brutto non ha mai suscitato interesse e non ha mai prodotto niente in nessuno.
Accuse verso il brutto della chiesa “moderna” che furono già malcelatamente mosse nel 1972 da Federico Fellini nel film “Roma” dove una quasi rassegnata, ma battagliera principessa dell’aristocrazia nera (i più acuti sapranno leggerci una similitudine con un’assai nota principessa difenditrice della tradizione tridentina), esprime il suo scetticismo nei confronti del futuro imperante. La principessa ospita nel suo palazzo una sfilata sacra alla presenza di un cardinale amico di famiglia. Tra le uscite, fantasiose monache à la page che si scontrano con chierici coperti di cotte gricce nella chiara esasperazione di mons. Enrico Dante, fino a giungere alle più dichiarate intenzioni moderniste, “nuovi tessuti !”, profetiche anticipazioni del raccapricciante piviale indossato per l’apertura della Porta Santa del 1999. Saggio invece lo stizzito commento di una Badessa, seduta fra i blasonati ospiti e certamente ‘old school’: “È il mondo che deve seguire la Chiesa, non il contrario”. Forse è davvero giunto il momento che anche i duri d’orecchie ascoltino.
*Da campariedemaistre.com