Un mese fa è morto Luigi De Filippo. Due anni e mezzo dopo suo cugino Luca. E tredici anni e mezzo dopo un altro cugino, Mario Scarpetta (1953-2004), scomparso prematuramente, dei tre il maggiore talento teatrale della famiglia.
I De Filippo erano figli di Eduardo Scarpetta. Dal padre avevano ereditato i tratti, la voce, la potente natura. I vecchi napoletani considerano il loro momento d’oro quello nel quale recitarono insieme. Durò fino al 1944. Scarpetta, ch’è stato anche e soprattutto sommo commediografo, aveva fatto fortuna. La sua villa di villeggiatura era al Vomero, finitima di quella Floridiana che Ferdinando IV, divenuto I, aveva eretta per la moglie morganatica, la duchessa di Floridia. La commedia che gli aveva apportato maggiori proventi è La santarella, e la villa si chiama così: in caratteri gotico-liberty egli vi appose l’epigrafe: Qui rido io. In città abitava nella moderna Chiaja. Non distante, il teatro Kursaal, oggi cinema Filangieri. Lì negli anni Trenta si producevano i De Filippo, Eduardo, Peppino e Titina. Lì avvenne la “prima” del capolavoro di Eduardo, Natale in casa Cupiello, concepito per la triade. L’altro capolavoro di Eduardo è Sik Sik artefice magico, pure scritto per la triade. Dopo, la sua produzione filosofeggia e pirandelleggia (un Pirandello dei miserrimi) e perde l’ impulso originario. Luca venne messo a recitare sin da ragazzino. Bravo ma volenteroso. Era schiacciato dalla figura paterna. Il talento di attore di Eduardo si può apprezzare assai più quando interpreta Scarpetta: nel suo teatro è manierista di sé medesimo, indulge in pause eccessive, in eccessivi effetti.
Luigi era figlio di Peppino. Titina era un genio; Peppino era il genio della famiglia. È il solo attore mai vissuto che, recitando con Totò, sia alla stessa sua altezza e, con lui, con-protagonista. E sì che il Principe aveva avuto dei mammasantissima come Nino Taranto, Ugo D’Alessio. Ma Peppino ha una così forte e autonoma personalità da ergersi al suo fianco. Quando vediamo la Dettatura Della Lettera in Totò, Peppino e ‘a malafemmena (e anche l’altra, meno nota, in Totò, Peppino e i fuorilegge), da questa lotta di titani siamo schiacciati; e grati per una gioia che ci dà forza a meglio sopportare la vita. Peppino era così grande che non solo lo era quando recitava nel suo teatro (come Autore gli dobbiamo titoli ragguardevolissimi), ma anche in Pinter (da lui surrealisticamente stravolto), in Molière: fedelissimo con una lieve tinta napoletana, ha fatto un sommo Malato immaginario, un sommo Avaro. Se guardiamo chi recitava nella sua compagnia, da Dolores Palumbo e Angela Luce e Adele Moretti a Franco Scandurra, Gianni Agus, Gigi Reder, Pietro Carloni, Mario Castellani, ci pare di trovarci di fronte a un Paradiso Perduto.
Luigi aveva le fattezze del padre, la voce del padre. La somiglianza era impressionante. All’origine, aveva immense qualità. Era superiore a Luca. In certe vecchie registrazioni lo dimostra. Forse aveva perduto fiducia nel pubblico, forse soffriva per la supervalutazione di Eduardo rispetto al padre. Incominciò a fare il facile e il sentimentale. Adattò in senso ottimistico un testo solo in apparenza comico e in realtà terribile, del padre, L’ospite gradito. Finì coll’essere solo un simpaticone. Tanto talento per nulla. Vincenzo era il fratello sfortunato ma pur egli talentuoso di Scarpetta. Era il nonno di Mario. Avrebbe dovuto vivere lui per mostrare la forza del sangue. Guardate le sue registrazioni su internet. Gli dèi decisero diversamente.
*Da Il Fatto Quotidiano