Villa Bonci è un elegante edificio in stile liberty che prende il nome dal tenore Alessandro Bonci il quale, per amore della terra marchigiana, volle costruirsi un buen retiro sulle colline di Loreto, a meno di dieci chilometri dall’azzurro del Mar Adriatico.
Leggenda vuole che la voce più famosa d’Italia e del Mondo l’avesse voluta su un colle, in posizione molto elevata, per “gareggiare” in splendore con la villa del collega-rivale Beniamino Gigli. E, in effetti, nel 2018 l’imponente residenza conserva una vista mozzafiato da un tetto paradiso per chiunque si definisca amante della bellezza, paesaggistica soprattutto.
Molto è rimasto di Villa Bonci: gli arredi, la torre, il grande barco e il cancello in ferro che apre alla guardiola del plotone di vigilanti dell’Aeronautica Militare. Attorno all’edificio, infatti, è sorto negli Anni Ottanta un complesso militare che fino al 2010 ha ospitato la SLE (Scuola Lingue Estere) e poi il CenForAvEn (Centro di Formazione per l’Aviation English), eccellenza della Difesa tenuta in grande considerazione in tutta l’alleanza NATO.
Ma cosa c’entra l’Aeronautica con Bonci? Lo si comprende subito dopo aver varcato l’ingresso della villa, scorgendo all’inizio di una rampa di scale un bellissimo (e antichissimo) modellino di idrovolante Dornier, di quelli che ti viene voglia di toccare, di manipolare, di prendere e di provare a far volare. Sì, esatto come i fanno i bambini tipo quelli che per almeno sei decadi hanno dormito, mangiato, studiato e si sono divertiti negli ampi spazi della villa. I bimbi dell’ONFA (Opera Nazionale Figli Aviatori), figli del personale della Forza Armata deceduto in servizio e seguito, fino alla maggiore età, dall’ente che tutt’ora continua nella sua attività di assistenza.
Dietro ogni angolo una storia, dietro ogni porta una sorpresa: bagni e vasche d’epoca avvolte dal silenzio e dalla polvere pare raccontino il quotidiano di gruppi di bambini che corrono in equilibrio fra l’entusiasmo tipico dell’età e il rigore dell’istituto al quale l’Aeronautica dà il nome di Francesco Baracca, come si intravede dall’incisione sulla torre liberty.
Dopo un periodo di abbandono (gli allievi hanno lasciato la villa negli Anni ’80), da alcuni anni l’AM cerca di restituire centralità, culturale, ad una perla dell’architettura italiana che, come molti altri edifici di inizio secolo, giace in disuso vittima più della burocrazia e della perenne mancanza di fondi per i beni culturali.
Un peccato perché l’edificio offre opportunità interessanti anche al visitatore più esigente: l’appassionato d’architettura, il fotografo di paesaggi, l’urban explorer, lo storico. Un luogo che, passando per Loreto, è d’obbligo visitare. Certo, essendo in una zona militare non è pensabile suonare il campanello ed entrare ma, forse, con i necessari permessi nulla è impossibile. Visite che fanno bene agli occhi e alla villa stessa perché, mantenendo alta l’attenzione sul sito di interesse culturale, si contribuisce ad evitare uno dei pericoli maggiori del patrimonio culturale italiano, quell’oblio che inesorabilmente risucchia tutto ciò che di più bello e di più unico il nostro Popolo è stato in grado di costruire.
@barbadilloit