Gabriele Adinolfi non è nuovo al lancio di profonde analisi sui tempi attuali e sulle scelte dell’ambiente culturale ed umano della destra; al di là della costanza e della qualità delle rotte tracciate nell’ultimo decennio in chiave neovitalista (Sorpasso neuronico/Tortuga), colpisce, nello specifico, il suo ultimo documento politico, Aquarius – Vincere nella società Liquida.
Colpisce per una certa chiarezza ed una netta lucidità di indicazioni che chi scrive ritiene opportuno segnalare. Se infatti, all’apice dello sdoganamento pubblico di temi e nomi tipicamente legati alla Destra neo/post fascista in chiave dialettica con il globalismo liquido, l’area politica che va da Fdi a CasaPound (e pezzi di Leghismo) si è dimostrata e si dimostra incapace di incidere sulla realtà, evidentemente, un bel punto andava messo. Lo ha fatto il pensatore non allineato ponendo una serie di elementi difficilmente eludibili.
Primo: lo spazio europeo. Paradosso curioso per chi negli anni ‘70 e ‘80 gridava “Europa, Nazione, Rivoluzione” risulta trovare i propri eredi in così grave difficoltà nell’elaborazione politica e culturale della problematica continentale. Mentre la globalizzazione sembra sempre più una lotta fra Imperi ed Imperialismi, fra rinnovati e più grandi spazi geopolitici, la destra italiana (ma anche francese e via dicendo) s’impantana nel dato di pancia: antieuropeista, veteronazionalista, sovranista, stampatrice monetarista. In barba al Duce fondatore di Imperi euromediterranei e nemico della Liretta sotto Quota 90, facile preda dell’usura di allora che noi oggi chiamiamo speculazione. Sottolineiamo, una pressione finanziaria storicamente a trazione anglofona e non tedesca.
E infatti questa piccola Italia, che svaluta, che stampa, che fa debito, che risolve tutto per parole e non per preparazione e volontà, piace più nei talk che nelle urne. Anzi, quanto piace nelle urne è quanto serve al talk, al tweet, al like. E’ il secondo punto che ben evidenzia Adinolfi: la destra radicale o meno che sia, da anni ha introiettato in sè quel dato tipico del sentire democratico, quell’illusione giocosa per cui la democrazia altro non è che un vuoto e libero contenitore di idee da conquistare per visibilità e consenso. Per intenderci, la scatoletta di tonno a Cinque Stelle.
In realtà la democrazia è un modello politico preciso e complesso, con cui, ricorda Adinolfi, si deve entrare in comunicazione dialettica, ma non per farne parte, non in senso rappresentativo od identitario; l’obiettivo insomma deve essere quello della governabilità rivoluzionaria. Una maturazione necessaria il cui modello potrebbe essere appunto l’Ungheria di Orban. Contenuti moderati, centralità elettorale, europeismo attento, radicalismo politico.
Il nodo classe dirigente
E’ chiaro che una maturazione del genere deve passare per un mutamento strategico: non più la prevalenza del movimento identitario, ma la prevalenza di strumenti atti a creare una classe dirigente. E’ il terzo grande elemento posto in Aquarius. Perché difficilmente, nei prossimi anni, anni in cui la democrazia tenderà sempre più ad essere funzionalista e tecnocratica, gli spazi della politica resteranno aperti al semplice nominalismo, all’infantile ed assai controllabile idea romantica della volontà dal basso, spesso poi ostaggio della logica da orticello.
Insomma se in questi ultimi anni ci siamo tutti cullati nel facile romanticismo del dualismo élite vs popolo, global vs comunità, attualizzando erroneamente pezzi di storia che con l’oggi hanno poco a che fare, questo stesso oggi offre l’opportunità di creare uomini e donne con volontà e competenze politiche riconoscibili per autorità come buone, utili e necessarie. L’Italia e l’Europa attendono, suggerisce Adinolfi, quella sintesi fra spirito imperiale e prassi postdemocratica che adesso, crollate le ideologie, sembra sempre di più decisiva nella creazione di un centro geopolitico alternativo ad Oriente ed Occidente.
@barbadilloit