Tempo fa girò sul web un murales, unanimamente condiviso da tutti coloro che, da ogni lato, ogni parte, ogni partito, facessero politica: “Senza la base, scordatevi le altezze”.
Oggi succede che Roberto Fico, a cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha concesso il secondo mandato esplorativo dopo quello flop della Casellati, potrebbe essere vicino all’aver intessuto una clamorosa intesa per un governissimo Pd-M5S.
Luigi Di Maio, dopo un lunghissimo tira e molla con Matteo Salvini e con il centrodestra, ha ufficialmente chiuso all’accordo con il Carroccio. Spunta poi, nel pomeriggio di ieri, l’apertura democratica da parte del segretario pro tempore Maurizio Martina. In mattinata, erano già squillate le trombe collaborazioniste di Dario Franceschini.
L’ipotesi del governissimo Pd-M5S però ha scombussolato tutto e tutti. I giornali danno grandissimo spazio alla rivolta dei militanti a Cinque Stelle, che non hanno mica scordato la furibonda lotta contro il partito di governo negli ultimi cinque anni. Un po’ meno spazio è stato concesso, invece, alla rabbiosa reazione dei militanti dem. Il video in diretta di Martina ha incassato commenti a dir poco negativi, era tutto un fiorire di “senza di me”. Questa rischia di trasformarsi nell’ultima e decisiva delusione: in qualche anno hanno visto stravolto un partito nato a sinistra che, man mano, s’è ritrovato su posizioni ultraliberiste, impelagato in accordi più o meno sconvolgenti per chi – da sinistra – avrebbe giurato che mai avrebbe avuto nulla a che spartire con le “paludi politiche” del centro, leggi Verdini, Alfano e Lorenzin. Ora, l’ultima e drammatica giravolta: dalle querele, dalle accuse, dalle sanguinose contrapposizioni degli ultimi mesi, all’accordissimo. C’è da rimanere (troppo) spiazzati e per l’ennesima volta.
Il M5S invece sta cogliendo un errore politico e strategico enorme. Se è vero che al Nord, la scelta grillina è alternativa alla sinistra, al Sud invece sovrapposizione non c’è, o quantomeno (con buona pace di Roberto Fico) non è così marcata. Il trionfo elettorale 5S (troppo spesso liquidato con la voglia di reddito di cittadinanza) ha imbarcato invece voti moderati, di quell’elettorato affezionato all’antipolitica, quello arrabbiato con la casta che, il 4 marzo, era impersonata dal Pd. Perciò il cortocircuito è palese e la rabbia della base, di gente che s’è presa denunce per far politica, è feroce.
Certo che l’ipotesi di un governissimo Pd-M5S, di un governo dei ripescati dem, avrebbe come unico risultato, quello di restituire al centrodestra una centralità nel dibattito pubblico. Dall’aver vinto le elezioni con il 37%, ritrovarsi all’opposizione è un fatto (politico) che non si può trascurare.