Sappiamo tutti che cosa furono, e le conseguenze che ebbero, il Manifesto degli intellettuali fascisti, pubblicato il 21 aprile 1925 sui principali quotidiani, il primo documento ideologico della parte della cultura italiana che aderì al Regime Fascista, redatto da Giovanni Gentile. Ed il successivo Manifesto degli intellettuali antifascisti, pubblicato il 1º maggio del 1925 sui quotidiani «Il Mondo» ed «Il Popolo», scritto da Benedetto Croce.
Acqua sotto i ponti ne è passata, ma, in periodo e clima pre-elettorale le iniziative di Fiano, le parole della Boldrini, di Grasso, di Saviano e molti altri, ancora una volta conducono alla solita, arciconosciuta demonizzazione del “fascista”, vero o inventato, avvivata dal “giornalisticume sinistrorso” di regime, in RAI specialmente. Il vero regalo propagandistico lo ha fatto ora ai predetti ed ai buonisti delle “porte aperte a tutti” lo scervellato Luca Traini in quel di Macerata, ove il “fascioleghista” ha preso a sparare – ferendone sei – sugli immigrati in strada con la sua Glock, pare per vendicare l’orrendo crimine di Pamela Mastropietro, il cui corpo era stato trovato in due valigie, per presunta mano di Innocent Oseghale, un nigeriano con permesso di soggiorno scaduto, spacciatore e, tutto fa presumere, feroce assassino. Tutto serve, comunque, per una sorta di riedizione degli infami “Appelli Democratici ed Antifascisti” degli Anni Settanta, anche se la maggioranza di quei più o meno illustri “firmatari” è ormai passata a miglior vita.
Ha scritto Nino Spirlì, cinquantasettenne giornalista ‘non conformista’ di Taurianova, Reggio Calabria, non certo un ‘fascista’, e neppure un leghista, su “Il Giornale”: Italia invasa da delinquenti, lo scorso venerdì 2 febbraio 2018.
‘Uno per tutti!… Per tutti i delinquenti che abbiamo importato negli ultimi cinque anni da ogni latrina del globo. Impastate a pochi poveracci (usati come specchietto per le allodole), sono sbarcate da pittoreschi barconi, che fanno tanto “fuga dalla povertà”, e da comode navi, modello “ventre di mamma ong”, decine, centinaia di migliaia di farabutti e assassini africani, mediorientali e asiatici. Brutti ceffi, spesso terroristi, che non scappano da guerre e pestilenze, ma da mandati di arresto stampati nei Paesi dove sono nati e dove hanno commesso chissà quale sorta di lurido delitto, chissà quale reato, chissà quale atrocità. Di essi non sappiamo nulla. Né il vero nome, né il vero luogo di nascita, né la fedina penale. Sappiamo solo che vengono bene in foto di gruppo, piangenti e imploranti mentre sono stipati su improbabili natanti salpati dalle coste libiche e diretti nel Paese di Bengodi, l’Italia puttana del terzo millennio. Questo residuo di Bel Paese, ormai ridotto ad un letamaio, nel quale ognuno fa legge a sé. Tutti, tranne gli Italiani, ai quali non è consentito altro che sopravvivere in silenzio. Ai quali, anzi, è vietato anche sopravvivere. Qui, gli Italiani devono morire e basta. …Siamo andati così avanti con le concessioni, che, quasi quasi, commettere reato è meno faticoso che fare la fila al supermercato. Sono centinaia, migliaia, le vittime di violenza “clandestina”. Solo poche trovano soddisfazione nella Giustizia. La maggior parte deve subire in silenzio il buonismo imperante e le sue conseguenze. Il perdono forzato, per esempio. Se l’assassino è negro, zingaro o mediorientale, i Codici vengono silenziati e deposti nell’abisso senza fondo della finta bontà. Anche i tribunali si prestano, spesso, a inspiegabili sconti di pena, che stanno demoralizzando gli Italiani. Ci siamo consegnati ai nostri carnefici, senza reagire’.
Ricordiamo quegli appelli, il cui precedente fu La famosa Lettera Aperta a L’Espresso sul caso Pinelli, contro il commissario Calabresi, un documento pubblicato il 13 giugno 1971 dal settimanale, con il quale numerosi giornalisti, politici, sindacalisti, ex partigiani, registi cinematografici, artisti e noti intellettuali chiesero la destituzione di Calabresi e di alcuni funzionari, ritenuti colpevoli di gravi omissioni nell’accertamento delle responsabilità circa la morte di Giuseppe Pinelli, l’anarchico milanese precipitato da una finestra mentre era in stato di fermo presso la questura di Milano, nell’ambito delle indagini sulla Strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, condotte dal commissario Luigi Calabresi.
Messo alla berlina, attaccato ferocemente dalla stampa e dalla politica di sinistra, il “commissario torturatore” fu assassinato 17 maggio 1972 da due sicari. Anni dopo si scoprì che i mandati furono Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, allora leader del movimento “Lotta Continua” ed oggi collaboratore di “La Repubblica”.
Giampaolo Pansa, che declinò l’invito a firmare l’appello, afferma che lo stesso “dette un avallo al successivo assassinio di Calabresi”. Peggio, una vera e propria istigazione. Nell’ottobre del 1975 la sentenza sulla morte di Pinelli, dopo l’inchiesta, escluse l’ipotesi del suicidio e definì la morte come accidentale, a causa di un malore. Venne anche confermata l’assenza di Calabresi al momento della morte dell’anarchico.
Alcuni, molto pochi, dei firmatari della celebre, calunniosa “lettera aperta” hanno col tempo preso parzialmente le distanze dall’infame documento (Quilici e Toscani negarono di averlo sottoscritto, altri dissero di essersene dimenticati…) che fu, sempre secondo Pansa:
‘un veleno cucinato e diffuso dalle teste d’uovo della sinistra italiana: il meglio del meglio della cultura, dell’accademia, del giornalismo, del cinema. Signore e signori che per anni ci hanno spacciato un mare di bugie. Forti di un’arroganza che quanti di loro sono ancora in vita seguitano a scagliarci addosso…Rileggere oggi quell’elenco mi provoca un disgusto profondo per chi l’ha sottoscritto. Scorrere le firme una per una, ti induce a pensare che la “meglio gioventù” partorita dal Sessantotto aveva alle spalle il peggio del vippume di sinistra. Molte di quelle eccellenze sono scomparse, a cominciare da Norberto Bobbio per finire a Giorgio Bocca. Ma tanti big sono ancora in vita. E da ben poco venerati maestri seguitano a impartirci lezioni burbanzose. Qualche nome? Eugenio Scalfari, Umberto Eco, Dario Fo, Furio Colombo, Lucio Villari, Bernardo Bertolucci, Toni Negri, Dacia Maraini… Basta, mi fermo qui. Forse è vero che stiamo diventando un paese per vecchi, a cominciare da me. Ma un po’ di pudore non farebbe male a nessuno’.
Per la Chiesa cattolica, Luigi Calabresi è considerato un servo di Dio, martire per la giustizia e nei suoi confronti è iniziato anche un processo di beatificazione. Paradossalmente il figlio dell’assassinato, Mario Calabresi è oggi il Direttore di “La Repubblica” dopo esserlo stato de “La Stampa”.
Furono 757 i firmatari della lettera, il cui linguaggio, caratteristico di quegli anni di aspri e violenti scontri ideologici, era particolarmente accusatorio, riportati da Wikipedia in ordine alfabetico. I più noti non vanno dimenticati, credo, perchè firmarono – pur dopo l’assassinio di Calabresi – vari altri deliranti manifesti “democratici ed antifascisti”, almeno sino alla morte di Aldo Moro, costituendo una sorta di “Club” e, soprattutto, perché ancora oggi sono considerati da molti dei Maestri, dei luminosi esempi da imitare a seguire in vari settori. Ne leggo alcuni, credo i più conosciuti, risparmiando ogni commento e non negando certo il loro valore professionale o la loro storia personale.
Enzo Enriques Agnoletti, Giorgio Agosti, Nello Ajello, Gian Mario Albani, Franco Antonicilli, Giulio Carlo Argan, Gae Aulenti, Nanni Balestrini, Arialdo Banfi, Marcello Baraghini, Mario Baratto, Andrea Barbato, Mario Bardella, Mirella Bartolotti, Franco Basaglia, Vittorio Basaglia, Marco Bellocchio, Piergiorgio Bellocchio, Giorgio Benvenuto, Marino Barengo, Gualtiero Bertelli, Bernardo Bertolucci, Laura Betti, Alberto Bevilacqua, Luciano Bianciardi, Walter Binni, Norberto Bobbio, Giorgio Bocca, Cini Boeri, Pietro Bolognesi, Agostino Bonalumi, Giuseppe Bonazzi, Aldo Braibanti, Tinto Brass, Anna Maria Brizio, Bruno Brusati, Corrado Cagli, Giuseppe Caldarola, Nino Cannata, Ettore Capriolo, Pierre Carniti, Andrea Cascella, Liliana Cavani, Camilla Cederna, Lucio Colletti, Enrica Collotti Pischel, Furio Colombo, Luigi Comencini, Sergio Corbucci, Luigi Cortesi, Roberto D’Agostino, Guido Davico Bonino, Fausto De Luca, Tullio De Mauro, Gillo Dorfles, Umberto Eco, Giulio Einaudi, Marisa Fabbri, Elvio Fachinetti, Federico Fellini, Inge Feltrinelli, Ernesto Ferrero, Dario Fo, Luciano Foà, Franco Fortini, Emilio Garroni, Natalia Ginzburg, Giovanni Giudici, Vittorio Gorresio, Ugo Gregoretti, Renato Guttuso, Margherita Hack, Lino Jannuzzi, Vito Laterza, Francesco Leonetti, Carlo Levi, Primo Levi, Carlo Lizzani, Germano Lombardi, Riccardo Lombardi, Nanni Loy, Giancarlo Majorino, Dacia Maraini, Fabio Mauri, Carlo Mazzarella, Paolo Mieli, Paolo Milano, Giuliano Montaldo, Alberto Moravia, Franco Mulas, Paolo Murialdi, Cesare Musatti, Toni Negri, Luigi Nono, Valentino Orsini, Enzo Paci, Giancarlo Pajetta, Ferruccio Parri, Pier Paolo Pasolini, Elio Petri, Paola Pitagora, Fernanda Pivano, Giò Pomodoro, Gillo Pontecorvo, Paolo Portoghesi, Domenico Porzio, Folco Quilici, Giovanni Raboni, Franca Rame, Carlo Ripa di Meana, Nelo Risi, Carlo Rognoni, Lalla Romano, Carlo Rossella, Marisa Rusconi, Carlo Salinari, Giuseppe Samonà, Salvatore Samperi, Natalino Sapegno, Sergio Saviane, Eugenio Scalfari, Enzo Siciliano, Mario Soldati, Paolo Spriano, Pasquale Squitieri, Paolo e Vittorio Taviani, Giorgio Tecce, Massimo Teodori, Umberto Terracini, Terziano Terzani, Oliviero Toscani, Bruno Trentin, Saverio Tutino, Lucio Villari, Corrado Vivanti, Livio Zanetti, Cesare Zavattini, Bruno Zevi.
Loro, e tanti altri, fecero parte del “Club”.