C’è una stagione politica fatta da galantuomini: stagione che appare remota ma che comunica le vicende di chi lavorò, senza soste, per il paese. Con la prossima tornata elettorale, potrebbe divenire stimolante riflettere sull’esperienza di Arnaldo di Crollalanza, ministro fascista del fare, senatore missino stimato dai comunisti ai democristiani. È la storia di una Destra costruttiva. Orgogliosa e popolare. La cifra intellettuale del senatore barese, del servitore dello stato, è notissima. Rinnovare la sua esemplarità vuol dire iniettare, nella politica dei nostri giorni, il senso di responsabilità. Tra i giovani, la vita di Arlando di Crollalanza assumerebbe valenze pedagogiche. Nelle aule racconteremmo che il ministro mussoliniano crebbe i figli solamente con il proprio stipendio. Egli modernizzò il paese con un piano di opere pubbliche mai visto in Italia. Alle casse del governo restituì finanziamenti avanzati dopo la costruzione di palazzi e strade. Dormì dentro vagoni ferroviari ghiacciati pur di soccorrere le popolazioni terremotate del 1930. Con l’epurazione repubblicana, nel 1946, i giudici sentenziarono che fu onesto, non accumulò profitti di guerra. Viene alla mente la frase di Jean Jacques Rousseau, “Proponiamoci grandi esempi da imitare,..” e non perdiamoci dietro grandi sistemi storico-politici; spieghiamo invece agli studenti che la storia è costruita attraverso la coscienza del servizio e il rispetto della parola data.
In questa prospettiva piace il lavoro di ricerca storica di Domenico Crocco, “Il ministro delle grandi opere che disse no a Mussolini” (Cedam, pagg. 128). La postfazione è di Gennaro Sangiuliano che sottolinea come, in quadro storiografico post-ideologico, sia indispensabile guardare dentro il Fascismo, per incontrare quelle vite che “ebbero una prospettiva culturale e politica, che magari si potrà non condividere, ma che ebbe una dignità.”
Grande dignitas si concentra nell’aneddoto, narrato da Crocco, per il quale il ministro di Crollalanza, in una mattina primaverile del 1934, si recò da Mussolini. Andò dal suo Duce per spiegargli che il progetto per il porto di Ostia non si poteva fare; e non tentennò. Il suo capo però insisteva: il porto si doveva fare. Ma il giovane ministro non mollò e il piano portuale non si fece, perché Mussolini scoprì affari anomali e disse, “Solo dopo ho saputo che dietro il progetto dell’impresa c’era un carrozzone. Un coacervo di interessi strani. Rischiavamo di infilarci in un sentiero pericoloso. Dunque grazie, Crollalanza. Grazie per avermi detto no”.
Questo racconto viene felicemente riscritto da Crocco dopo essere stato già inserito nel saggio di più autori, “Araldo di Crollalanza, costruttore di futuro” (Adda Editore, 2007). Tuttavia, tale saggio, che tentava una lettura oltre la logica delle contrapposizioni, fu sfortunato; giacché – per quell’edizione Adda – una mano scrisse che di Crollalanza avesse “responsabilità storiche e politiche” in quanto “fascista della prima ora” e poi “tra gli autori della Costituzione dello Stato fascista”. Ora si comprende come, solo pochi anni fa, la riflessione storica non riconoscesse un’operosità politica o non comprendesse che parte della classe dirigente fascista servì l’Italia, tanto che, alla fine del regime, tornò a servire l’amministrazione dello Stato.
In apertura del libro di Crocco colpisce la frase di Indro Montanelli: una sintesi leale per fare i conti con un passato italiano:
“Crollalanza non fece mai mostra di sé, mai partecipò a spedizione punitive, mai si fece un partito o una clientela personale, mai brigò per carriere politiche. Di lui si parlava pochissimo. Non apparteneva alla Nomenclatura del regime e non fece mai nulla per entrarci”.
Chi scrive ricorda i suoi comizi baresi di primavera. Ricorda piazze di bandiere attraversate dal vento adriatico. Con un giovane ottantenne che diffondeva, dal palco in legno, progetti sociali e idee per un’Italia più giusta, più forte. Tanti andavano ai comizi del senatore di Crollalanza; non c’erano solo i missini; anche i commercianti democristiani o gli operai comunisti si avvicinavano al palco del senatore; al palco di un politico amato – e come suona strano oggi il sintagma politico amato! Quei comizi di molti anni fa raffiguravano, simbolicamente, pagine di storia nazionale; e tutti in silenzio per ascoltare Don Araldo. Come a Palazzo Madama – lo racconta Crocco con precisione – quando di Crollalanza “si rende conto di aver superato largamente i minuti a lui assegnati e si rivolge al senatore Fanfani che fino a quel momento era stato rigido per far rispettare i tempi, togliendo la parola a molti senatori” ma Amintore Fanfani conosce Araldo e nel silenzio dell’aula esclama, “Lei senatore Crollalanza, qui può parlare quanto vuole: nessuno la fermerà mai…”.