Il momento è solenne. Rey, la nuova leva, è di fronte a lui, l’eroe della Galassia: il leggendario Luke Skywalker. Con fare timido e solenne assieme, gli porge la spada laser che ella stessa ha ritrovato, la spada che fu di Luke e di suo padre Anakin prima di lui, un oggetto che proviene direttamente da mito, carico di significati e sacralità. Luke Skywalker allunga la mano, afferra la spada e… la getta via! Con questo gesto disturbante, il regista Rian Johnson inizia il suo racconto della lotta fra due generazioni, che si concreta, però, in modo inedito: la nuova generazione non rifiuta più i valori della precedente, anzi! Rey, la giovane venuta dal nulla, vuole disperatamente entrare nella continuità coi millenni che l’anno preceduta, ma Luke, colui che incarna quella continuità, ha incredibilmente deciso di fuggire e rinnegare il suo compito.
Questa nuova trilogia di Star Wars era stata annunciata come destinata soprattutto alle nuove generazioni. Bene, osiamo dire che, a nostro avviso, Rian Johnson ha saputo cogliere, forse unico regista della nostra epoca, davvero lo spirito e l’inquietudine latente di coloro che la stampa ha rinominato millennial, un’inquietudine ed uno spirito che tutta la cinematografia, a partire proprio da quella “impegnata”, ha coperto convenientemente (ma con assai poca onestà…), semplicemente ignorandola.
“Chi sei?”. “Nessuno”.”Da dove vieni?”. “Dal nulla”. Rey è priva di legami, è arrivata da chissà dove senza sapere dove deve andare. I suoi genitori la vendettero per comprarsi da bere per poi morire ed essere gettati in una fossa comune. Anche loro erano “nessuno”. Eppure “qualcosa, dentro di me, è sempre stato li, ed ora si è risvegliato”. Non sa praticamente nulla dei Jedi e della Forza, eppure si sente chiamata. Questa sua assenza di appartenenza e di identità è solo la molla che la spinge a cercare “qual è il mio posto in tutto questo”.
Questo è il vero motivo per cui si reca da Luke Skywalker: ha un bisogno disperato del padre, del maestro, che le trasmetta il sapere antico che solo può dare senso e direzione alla sua vita, a qualunque vita, che senza di esso è perduta. Eppure Skywalker si rifiuta: dopo un grave fallimento, ha deciso di chiudersi alla Forza e così di decretare proditoriamente la fine dei Jedi, proprio lui che era la Nuova Speranza per eccellenza. Rey non lo molla, lo segue ovunque, quasi lo tampina, mentre lui continua a fuggire dalle sue responsabilità. Alla fine Luke accetta di addestrarla controvoglia, ma solo per poi cacciarla definitivamente e correre a bruciare l’albero che contiene i sacri testi dei Jedi, con l’intento di porre fine una volta per tutte alla cultura di cui avrebbe dovuto essere il custode e assicurare la trasmissione nel futuro.
Ci pensa Yoda, che compare sotto forma di fantasma di Forza, a deridere le sue velleità. Lui stesso chiama un fulmine che appicca fuoco all’albero, ma avvertendo Luke che nonostante tutto Rey ha già tutto quello che le serve. E non sono solo i libri dei Jedi, che la ragazza ha trafugato, salvando così quel sapere millenario: agli allievi i maestri devono saper trasmettere anche i propri fallimenti. Da questi fallimenti e dalla lezione che da essi deriva si potrà costruire il futuro. E qui, lungi dal tradire la mitologia di Star Wars, come molti hanno detto, Rian Johnson ha saputo cogliere quello che era il filo conduttore dei sette episodi precedenti: la fine dei Jedi è stata innanzitutto conseguenza degli errori che essi avevano compiuto fin dai tempi della vecchia Repubblica e il modo di ridare vita a quell’antica saggezza è anche comprendere perché essi fallirono.
E così, nel commovente finale, Luke Skywalker torna se stesso, affronta il Primo Ordine per permettere ai superstiti della Resistenza di salvarsi e, consapevole che non sarà lui l’ultimo Jedi, si sacrifica, unendosi alla Forza, finalmente in pace. Al contrario, della gran parte dei maestri e padri della nostra realtà, che purtroppo non sono mai rinsaviti e che, di ciò che hanno ricevuto dalle generazioni precedenti, hanno distrutto senza scrupoli quanto più potevano.
Tuttavia, esiste una generazione, non raccontata da nessun film, da nessuna analisi, da nessun reportage, che dalle fiamme ogni giorno cerca di salvare il più possibile di quello che è stato, ben conscia di quali sono i fallimenti che hanno portato alla catastrofe. E che nella storia narrata da Rian Johnson potrà identificarsi alla perfezione.
C’erano una volta gli Hobbit, poi venne Atreju, ora è il momento di Rey.
@barbadilloit