Stupideria a babordo. Una nuova minaccia incombe sull’occidente, una malattia che porta dritti dritti alla paralisi del pensiero. Incappare nello spoiler, eccolo. Un’infezione, un riflesso incondizionato, che – manco a dirlo – ha ormai contagiato in troppi, neanche fossimo la massa infettata di Cell, il romanzo di Stephen King. Una nevrosi collettiva a cui però bisogna porre rimedio, con urgenza pure. Si tratta di un processo ormai degenerato nella cretineria che – almeno a chi vi scrive – si è palesato soltanto all’indomani dell’ultima puntata della terza serie di Gomorra.
Per chi l’ha vista, ma anche no, Ciro l’Immortale muore ucciso da Genny in un sorta di sacrificio non lontano da quello dei santi (un finale paradossale che vale la pena gustare anche più di una volta). Un ending davvero choc per i tanti aficionados di una serie che ha battuto tutti i record. Tant’è che, immediatamente dopo, l’attore Marco D’Amore ha pubblicato sui social un video d’addio in cui recita un brano struggente tratto da “Ragazze sole con qualche esperienza” di Enzo Moscato. Roba d’autore per intenderci. Il giorno dopo il sito di Sky pubblica la sinossi della puntata, una sorta di interpretazione autentica della serie. Ma alla rete non va. Guai a retwittare. Lo chiamano spoiler. E s’arrabbiano pure, con l’avallo dei fin troppi perbenisti della rete che difendono il diritto a non sapere di chi non ha visto.
Il grande capo Estiquatsi, personaggio partorito dalla genio di Lillo e Greg, avrebbe già liquidato la questione con una uscita delle sue. Invece no, noi non lo faremo. Perché un pizzico da rifletterci sopra ci sarebbe. In primo luogo: ma lo spoiler non era quando si anticipava un finale? E quanto deve durare il silenzio: novantesimo, extra-time, rigori? In fondo, finita Juve-Roma lo si potrà anche far saper al Mondo che per l’ennesima volta ai giallorossi han tremato le gambe nel fortino dello Stadium? E invece no, nell’era dell’on demand cala l’omertà. Omertà-ta-ta. La questione è seria, filosofica, morale e – perché no – politica.
Se un finale, un tempo, era tutto da discutere, da commentare, cioè da condividere entro una comunità, fosse anche la sala d’attesa dell’urologo; oggi le cose non stanno affatto così. Ognuno si crea i sui palinsesti, si ordina le serie, decide i tempi della fruizione. Eccola, la porzione singola: ricordate Tyler Durden? Il fenomeno è vasto e obbliga alla revisione dei costumi. Anzi, in tanti si sono già allineati al nuovo corso. E tacciono. È il trionfo del politicamente corretto in quella zona grigia che sta tra il divano e la tv. È il trionfo della sensibilità spesso fragile dei singoli dinnanzi alla volontà di condivisione dei tanti. Tutto ciò come quando si abbattono le statue di santi e navigatori perché una qualche minoranza sta ancora ingrugnata per i fatti di cinque o sei secoli fa. Giù tutto. Ma così facendo, non resta che un vuoto dove maggioranze e minoranze s’incontrano. Ma per non dirsi nulla. Proprio nulla.