Cercare un’idea di Italia. Farlo tra le contrarietà. Giacché in tanti ripetono che i valori andrebbero trasformati per sfidare i tempi. Poi le analisi culturalmente corrette sentenziano che tutto è in movimento nelle identità. E certi storici non smettono di ribadire che le radici di un popolo sono illeggibili e confuse. Al contrario nel paese resta forte il bisogno di scrivere di identità o di andare dove ci sono le radici storico-artistiche italiane. E lo facciamo adesso attraverso l’arte, visitando la Mostra di Pistoia, ‘Marino Marini. Passioni visive’, palazzo Fabbroni, fino al 7 gennaio 2018.
L’opera artistica di Marini dice l’orgoglio della terra e i linguaggi che hanno costruito la civiltà greco-romana. Dice pure che l’Italia fu la terra dei cavalieri e rivela così un Occidente nobile. Il suo linguaggio proviene da Giotto. Il cavaliere di Marini è l’uomo che sussurra cosa siamo stati; che galoppava sulle piane pugliesi o sulle terre umide di Maremma. L’arte di Marini è icona delle nostre radici.
L’arte contemporanea tuttavia perde ogni riferimento alle radici. È figlia del pensiero debole che nega il bello, il classico, l’armonia, andando alla ricerca di sintesi espressive che alimentano assenza di prospettive. Gli artisti oggi per chi operano? Per nessuno. Sono puro individualismo. Non credono più nei movimenti organizzati. Restano al servizio di quel mercato dell’arte che essi stessi dopo contestano. Quindi che fare? Principalmente sostenere un progetto identitario e, con una nuova stagione di proposte, rafforzare la presenza degli artisti italiani, riscoprire le vicende di generazioni di pittori e scultori, indicare ai musei di aprirsi necessariamente ai giovani artisti d’Italia, quei giovani che non hanno punti di partenza in un mondo del lavoro intellettuale depresso.
È mai stata fatta una legge per sostenere i giovani artisti o le loro botteghe? Ve lo immaginate un giovane artista che va in banca per chiedere un finanziamento? Gli riderebbero in faccia. Giorno dopo giorno, sembra svuotarsi il concetto di arte italiana, di lavoro italiano. Per fortuna, all’improvviso, troviamo qualche scatto di orgoglio. Scopriamo segnali che riposizionano il discorso sulla centralità di una nazione, dei suoi linguaggi. Così la Mostra romana, “Voglia di Italia’, documenta le passioni del collezionismo, dal 7 dicembre 2017 al 4 marzo 2018, al Vittoriano. Due collezionisti George Washington Wurts e Henriette Tower inseguirono, per tutta la vita, l’arte italiana, quella compresa tra tensioni spirituali e perenne naturalismo.
Le radici italiane sono sempre leggibili: si stendono tra l’immutabilità delle dottrine cristiane e le dinamiche riscosse borghesi. Tra il XIX e XX secolo, la cultura italiana parte dal Romanticismo liberale e giunge al Classicismo restauratore novecentesco. In questo senso ci aiuta l’esposizione al Mart di Rovereto, ‘Realismo Magico. L’incanto della pittura italiana degli anni Venti e Trenta’, dal 03 dicembre 2017 al 2 aprile 2018, che incontra una generazione di pittori che dipinse gli estremi, ossia la solida realtà e le ansie dell’anima.
Purtroppo il mercato globalizzato tenta di promuovere artisti a New York, a Pechino, a Roma, sradicandoli dai contesti culturali di appartenenza. Di fronte a noi c’è un grande contenitore mediatico dell’arte in cui mercanti e critici cucinano tutto. Allora agli interpreti della cultura globalizzata, quelli che rifiutano parole come radici e identità, la risposta da offrire dovrà essere politico-culturale. Una riposta che scrissero già i maestri: la bellezza è sempre comunitaria.