Pubblichiamo il commento sugli ultimi scenari della destra in Italia di Luigi Iannone, scrittore, studioso di Junger e intellettuale conservatore
Il recente Congresso di Fratelli d’Italia è figlio legittimo di una strisciante ma sottaciuta diatriba familiare e di una serie di nodi culturali mai sciolti a destra. E quando parlo di destra, mi riferisco a tutti i movimenti e i gruppuscoli che si ‘muovono’ da quelle parti. Un ibrido nell’oceano della politica che a forza di reiterati appelli al patriottismo, ai valori tradizionali e a molte parole d’ordine di una comunità che dovrebbe invece, con grande capacità di inclusione, condurre le sue truppe nel mare magnum della modernità, fa fatica ad elaborare un impianto culturale di vasto respiro. Perché, pur non rinnegando nulla sul piano dei valori, bisognerebbe però affrontare, e una volta per tutte, il nodo di un capitalismo finanziario sempre più invadente, la questione dei diritti sociali, il ruolo del lavoratore (e dei suoi diritti) nella società del Terzo millennio, la giustizia sociale, e così via. Questioni dirimenti se analizzate con serietà e profondità di intenti.
Il fatto che, quindi, anche grazie all’astuzia di una certa stampa, l’analisi si sia concentrata ancora una volta sul simbolo della Fiamma che dai vari partiti di destra viene periodicamente stilizzato, rimpicciolito o allargato; sulla scritta An o Msi, anch’esse allargate, poi tolte, poi rimesse, poi rimpicciolite, …spingerebbe a pensare che vi sia un ‘non detto’ e che tali modelli e riferimenti siano ritenuti obsoleti per questo tempo ed utili solo in quanto attrattivi di consenso.
Ora, il punto non è decidere quanto debba essere grande e visibile la fiamma perché se si segue sempre questa linea d’azione si ricava l’impressione di una incapacità ad alimentare un’apertura che vada oltre i pochi numeri di percentuale che contraddistingue l’attuale Fratelli d’Italia o gli altri partitini e gruppuscoli di destra. Per eliminare questo impasse, non sarebbe male mettere da parte simboli e tutto l’armamentario e lasciarlo, come dice Pietrangelo Buttafuoco, al sentimento e al ricordo di ognuno, senza strattonarli da un parte e dell’altra. Vale a dire, non sarebbe un male, vista anche la labilità culturale di certi posizionamenti ribellistici, ricercare una nuova via. Non perché i simboli siano deleteri, anzi. Ma per tenerli fuori da diatribe di basso profilo che nulla aggiungono ad un serio dibattito.
I rigagnoli che alimentano questo fiume in piena di una Italia conservatrice eppur moderna, sociale e nazionale, sono tanti e articolati, ma vanno coltivati. Oltre le tattiche del momento e i dispetti agli alleati o agli avversari interni alla coalizione, c’è molto di più. E invece si ripresenta uno schema partitico (quello delle diverse destre) che con tutte le positive peripezie dei vari effervescenti gruppuscoli dirigenti, dà l’impressione di ricadere – per responsabilità proprie o esterne – nel solito verminaio di ripicche sul simbolo, sul nome, sulla Fondazione An, sul Secolo d’Italia e il suo direttore, eccetera, muovendosi in un eterno ritorno del nulla e in spazi angusti che, francamente, al cittadino danno a noia. E ancor di più, al vecchi elettore della destra …se ancora ne esiste uno.
In questa personale chiave di lettura, non posso non sottolineare la levità di un generale e composito quadro di rinnovamento del Paese e di formazioni politiche che, inconsapevoli, sono ad un importante giro di boa. Di fronte, alle euforizzanti prospettive di una nuova vittoria elettorale e di un nuovo governo, e perciò di nuove poltrone, il dibattito dovrebbe testimoniare una determinata fermezza senza di nuovo impelagarsi nei gangli soporiferi e ipnotici delle distinzioni tattiche.