Il numero del 2016 della rivista fiorentina Gli Annali di Eumeswil è ricco di interessanti contributi critici. La tematica attorno alla quale dibattono gli autori, nelle quattro sezioni che costituiscono l’Annuario (Interventi, Proposte, Scritture, Jüngeriana), è il rapporto di cultura e censura. Molti degli interventi contengono esegesi, motivate ed organiche, delle relazioni che alcuni intellettuali del “secolo breve” intrattennero con il potere, e mirano a denunciare i soprusi che questi dovettero patire per difendere le loro idee letterarie, filosofiche e politiche. Altri scritti riportano l’attenzione del lettore sulla situazione contemporanea, relativamente al dominio incontrastato del pensiero unico mondialista, che impone steccati invalicabili segnati dall’intellettualmente corretto. In tema segnaliamo il saggio di Maurizio Calvani, che si occupa dell’organizzazione non governativa, riconosciuta dalle Nazione Unite, Gherush92. La sua azione ha per obiettivo far luce sulle persecuzioni subite nel corso della storia dagli ebrei. Tra i suoi documenti, se ne distingue uno davvero paradossale: “Via la Divina Commedia dalla scuole, ovvero razzismo mascherato da arte”. Un invito esplicito a censurare Dante, colpevole di chiamare la zona più profonda dell’Inferno con il nome di Giudecca, di aver “punito”, nella sua narrazione poetica, gli ipocriti religiosi e tra essi Anna, Caifas ed altri membri del Sinedrio e di aver apostrofato con espressioni negative ebrei, mussulmani e quanti non si riconoscano nel Vangelo. Vengono presi in considerazione ben 75 dei 14.233 versi della Commedia. Un giudizio decisamente obiettivo (sic)! Ma motivato da cosa? Dalla volontà di insinuare la necessità di censura retroattiva nei confronti di Padre Dante, al fine di sradicare italiani ed europei dall’humus culturale e spirituale della loro civiltà. Trasformandoli così in “pacifici” consumatori annoiati.
Sulla censura nella Francia contemporanea riporta l’attenzione Richard Millet. Lo studioso sostiene che il gauchismo “culturale è un mostro capace di produrre i suoi ribelli istituzionali per screditare quelli veri con il nome di ‘reazionari’ o ‘fascisti’” (p. 21). Grazie a tale espediente, sono state prodotte le accuse di razzismo, omofobia, anti islamismo nei confronti di studiosi che hanno osato porsi oltre il confine del politicamente corretto. Gianni Liberti presenta, invece, un caso emblematico di censura e soppressione della libertà nella storia del Novecento. Attraversa, così, le vicende politiche della Cina contemporanea: muove dall’iniziale appello maoista al dibattito culturale delle “cento scuole”, per giungere a ricordare le purghe che condussero al dramma della Rivoluzione culturale. Arresti e pestaggi indiscriminati di intellettuali dissidenti, sparizione improvvisa di pensatori scomodi, apertura dei laogai. Emblematica, in tal contesto, è la vicenda dello scrittore Lao She, sequestrato dalle Guardie rosse, torturato e ucciso e fatto passare per “suicida”. O quelle dei Premi Nobel per la Letteratura e la Pace, Gao Xingjian e Liu Xiaobo. Il primo, silenziato in patria e costretto all’esilio francese, il secondo, nonostante l’ambito riconoscimento internazionale, ancora oggi costretto al confino in Manciuria. La “rieducazione coatta” di tali intellettuali “borghesi” era giustificata, se non esaltata nell’Italia di quegli anni, dai vari Moravia, Macciocchi e Parise. Le nostre Guardie bianche.
Altro caso emblematico di censura: il 21 febbraio del 1921 i giudici della Court of Special Sessions di New York, misero al bando il capolavoro letterario di Joyce, Ulisse. Il provvedimento, ricorda nel suo scritto Carlo Bagnoli, presto esteso agli altri paesi anglosassoni, fu assunto per difendere il virtuismo sociale dalle oscenità presenti nel capolavoro. In particolare, i moralisti furono toccati dall’episodio, straordinario per costruzione narrativa, di Nausicaa, che si conclude con la descrizione dell’atto masturbatorio di Leopold Bloom. Negli anni Venti “ciò che scandalizzava[…] erano le perle della vena provocatoria del grande scrittore[…] perché vuole rappresentare nella sua opera la vita così com’è nella realtà” (p. 59). Da ciò la censura e l’Odissea editoriale dell’Ulisse. Le drammatiche vicende accorse ad Ezra Pound in conseguenza della sua scelta politica a favore del fascismo, sono ricostruite da Gianni Vannoni. Il poeta statunitense era sostenitore delle tesi economiche del maggiore Douglas, aveva una concezione “distribuista” della ricchezza, alla quale si opponeva il sistema bancario. Al fondo delle scelte biografico-esistenziali di Pound va posto l’ interesse per la “quarta via” esoterica di Gurdjieff, il cui insegnamento mirava a produrre uno sviluppo armonico dell’uomo. Per la sua opposizione al capitalismo finanziario, Pound si schierò a fianco delle potenze dell’Asse e, dopo la sconfitta, fu rinchiuso nella gabbia di Coltano e, per i successivi dodici anni, nel manicomio criminale di Saint Elizabeth. Uno dei casi di “censura” più spietati nei confronti del libero pensiero.
La medesima determinazione ad annullare la personalità, la si evince dalla ricostruzione delle vicende che in URSS coinvolsero due grandi scrittori, Bulgakov e Solženicyn. I tristi casi vissuti dal primo sono narrati nello scritto di Gabriella Elina Imposti, i secondi in quello di Giovanni Antonucci. Bulgakov non voleva rinunciare alla realtà. In Cuore di cane, nelle pièces teatrali, ne Il maestro e margherita, non celò mai le simpatie per i Bianchi, gli esiti esiziali cui la rivoluzione stava andando incontro, la radicale negazione della libertà che il popolo russo pativa. Conobbe, come molti suoi personaggi, la drammaticità della solitudine imposta dal potere, ma non se ne fece piegare. Il senso dell’esistenza per lo scrittore consisteva “in una resistenza ostinata contro le tentazioni e le pressioni che vorrebbero spingerlo a rinnegare la propria dignità di uomo e artista” (pp. 101-102). Posizione condivisa da Solženicyn. Questi da Una giornata di Ivan Denisovič ad Arcipelago Gulag si spese, con tutte le sue forze, anche durante gli anni di internamento, contro la menzogna al potere. Il suo libro più emblematico è Padiglione cancro, nelle cui pagine la malattia diviene metafora del comunismo, inteso come negazione della verità e della vita.
Vanno segnalati anche l’interessante scritto di Varlam Šalamov, Un cattivo sangue ed il saggio jüngeriano di Valentina Menesatti. In esso si narra l’intrecciarsi delle vicende biografiche che coinvolsero lo scrittore, con la composizione del trattato La Pace. Un libro per il Nuovo Inizio europeo, dopo la barbarie nazista e la guerra, dedicato al figlio Ernstel. Jünger considerava il volume come preparazione spirituale e viatico per l’attentato ordito contro Hitler . Egli, nelle sue pagine, sostiene che “la metafisica del sacrificio è la chiave per trascendere la sofferenza patita che chiede innanzitutto di essere ricordata” (p. 167). Chiunque voglia spendersi contro il pensiero unico, tenga a mente i nobili esempi ricordati ne Gli Annali di Eumeswil.