Napoli, dicono, sarebbe in rivolta perché gli spot girati da Matteo Garrone per Dolce & Gabbana sarebbero intrisi di stolidi luoghi comuni, rappresenterebbero una città da cartolina anni ’50, troppo marottiana (accusa demodé che torna d’attualità) per essere vera.
Nei filmati che girano anche online, i protagonisti sono Emilia Clarke e Kit Harington catapultati in città direttamente da Il Trono di Spade. Sono entrambi travolti da una fiumana di uomini e donne, più che altro maschere rococò della Napoli che esiste solo nella testa dei turisti anglosassoni. A livello commerciale, su scala planetaria, è operazione azzeccata. Volano pizze, ballano spaghetti, il pazzariello fa lazzi, il barista con il baffetto seduce l’inglesina, ‘a ‘gnora con i bigodini si fa il balletto con ‘o furestiero mentre gli sposi si fissano in cornici barocche, il sole – solo lui – è un disco che illumina tutto in seppia (altro luogo comune americano, secondo cui l’Italia è il Paese della nostalgia canaglia).
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Lo spot non è diretto ai napoletani ma agli stranieri. Che Napoli la vogliono vedere così, una continua festa esotica di gente ‘e core illuminata da quel sole malinconico che illumina di seppia tutta l’Italia mentre tutt’intorno suona la musica di Renato Carosone o languono le canzoni ‘e core e sentimiento. C’è chi arriva, ancora oggi, in Costiera Amalfitana e cerca gli scugnizzielli che trascinano la carretta delle alici. Su questi racconti e su questa visione s’è spiegata (male, ma questa è un’altra storia) la città.
Pretendere da uno spot il racconto completo di una capitale dell’anima europea è una bestemmia. È segno di una confusione metodologica. Oltre che un controsenso. Ma ce li vedete i ragazzetti del Trono di Spade che ballano a piedi nudi sul Vesuvio mentre Epicuro gli spiega il catalogo dei piaceri, Virgilio li eleva nel più alto dei Cieli e San Gennaro li protegge (quando non si arrabbia) dalla furia di Partenope che sempre un’arcaica sirena mangiauomini è?
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Assodato, quindi, che una pubblicità è una pubblicità e non un articolo di fede né di scienza, se c’è qualcuno con cui prendersela, semmai, è la retorica a favor di turismo pane e salame che nasce dall’invincibile retorica incapacitante che si ritrova, per esempio, in canzoni come ‘A Città ‘e Pullecenella che, all’identità partenopea, hanno fatto più danni della grandine. E ancor prima in una città che a tutti i costi vuol farsi piccola e borghese, carina e sensibile, che brama i complimenti dello straniero, che pietisce, ruggendo, l’attenzione benevola (o l’invidia) del perfido nordista. E che intanto si è scordata di Paisiello, Sannazaro e sacrifica la sua dignità alla modernità transeunte.
Una retorica che tutti, da destra a sinistra, hanno utilizzato e celebrato fino a che non è arrivato Luigi De Magistris a farsene lucroso capitale elettorale.