
Niente Premio Strega post-mortem a Curzio Malaparte. Il regolamento lo impedisce. E ce ne faremo una ragione. Però. Walter Veltroni e Franco Cardini dicono che Malaparte merita di più. L’editore Adelphi nel frattempo ha compreso l’attualità di Kurt Erich Suckert e ha dato inizio a delle pubblicazioni malapartiane. Solo pochi mesi gli scrittori Monaldi&Sorti, con il romanzo ‘Malaparte. Morte come me’ (Baldini&Castoldi), hanno riproposto la centralità di Malaparte nella cultura del Novecento.
Sono significativi gli apprezzamenti per Monaldi&Sorti, autori di un romanzo capolavoro in cui i brividi della Storia, la decadance delle feste capresi, i balli con ufficiali SS, intrighi e sesso, creano un’atmosfera narrativa unica.
Intanto la ricerca sulla produzione dello scrittore de ‘La pelle’ non avanza, anche a causa delle sue carte storiche non consultabili, in quanto i travagli della proprietà Marcello Dell’Utri rendono inaccessibile un patrimonio del grande Curzio congelato in biblioteca.
Insomma. Si faccia un passo avanti per un aggiornamento critico dell’opera malapartiana, dimenticando il titolo del recente articolo di Paolo di Paolo, “Chi ha paura di Curzio Malaparte?” Teniamo invece a ricordare che si avvicinano i sessanta anni dalla morte dello scrittore – 19 luglio 1957 – e la critica non può non cogliere l’occasione per un riposizionamento dell’ autore novecentesco. È vero, c’è il ‘Premio Malaparte’ che merita la massima visibilità e rappresenta un punto di riferimento. Ma basta? Quanto fanno le istituzioni culturali per sostenere l’evento caprese che, sino a qualche anno fa, ha sofferto di discontinuità?
Diciamola ora tutta. Per decenni l’opera di Malaparte non è stata divulgata per un clima storico-politico che ha inquinato la letteratura italiana. Pure oggi, nelle scuole e nelle università, il docente, quando sfoglia il manuale di letteratura, si domanda: Ma ci sarà Malaparte? La risposta qui con un esempio. Ecco, per caso, sotto gli occhi un manuale diffuso nei licei, ‘Il rosso e il blu’ – Dal Novecento ad oggi; ecco il suo indice e alla M ci sono Magris, Magritte, Malerba e… non c’è Malaparte!
Urgentemente. L’editoria dovrebbe svolgere una nuova diffusione delle opere di un autore fuori da ogni cliché; un intellettuale che rappresentò la realtà e il suo contrario; un’esistenza che dal fascismo arrivò al comunismo, infine alla fede cattolica e non per opportunismo ma perché consapevole del pensiero di Nietzsche, “Nella vita non è importante avere idee ma poterle cambiare.”
Per aggiornare la ricerca sul toscano incantatore di parole, sul testimone appassionato delle passioni del ‘secolo breve’, diviene nevralgico ‘liberare’ le sue carte finite nelle note vicende del bibliofilo Dell’Utri. In più, diventa interessante poter ricercare tra i prosatori che scrissero guardando a Malaparte; vi sono pagine di Italo Calvino che sembrano ispirate dallo scrittore di ‘Kaputt’.
Per metafora, la prosa malapartiana è un fresco prato in cui entrare coi piedi nudi; è un atto artistico in cui trovare le venture letterarie di un secolo; è un momento in cui avvertire o la fascinazione della prosa d’arte o la limpidezza delle geometrie semantiche. Vi è un libro del 1940, apparentemente minore, ‘Donna come me.’ Tra queste pagine emerge un capitolo – ‘Città come me’ – creato con leggerezza assoluta, la leggerezza teorizzata da Calvino nelle ‘Lezioni americane’. Anche con tale prospettiva partire di nuovo. Verso il pianeta Malaparte. Verso la voce che raccontò gli italiani, quelli filistei, quelli di ieri che paiono di oggi, quelli descritti così in ‘Maledetti toscani’, “O italiani grassi che usate abbracciarvi l’un l’altro, e prendete tutto facile, e veder tutto roseo, e tutto quel che fate lo gabellate per eroico, e vi credete virtuosi, e avete la bocca piena di libertà mal masticata, e pensate tutti ad un modo, sempre, e non v’accorgete di essere pecore tosate”.