Egemonia portami via. La lezione gramsciana sulla necessità di un “dominio culturale” che presupponga quello politico è tutta contenuta nell’ultima gaffe del segretario del Partito democratico, Matteo Renzi. Tra un cinguettio con qualche beccata ai sempre più indisciplinati capicorrente e lo streaming della direzione nazionale oscurato per non lavare nella piazza del web i panni sporchi di famiglia, l’ex premier ha scoperto l’importanza di chiamarsi Matteo, più che Ernesto.
Sul profilo Facebook del Pd è comparso nel pomeriggio uno di quegli orrendi tazebao virtuali che tanto s’usano sui social. Tema: l’immigrazione. Argomento scivoloso, soprattutto a sinistra, dove hanno scoperto che si perdono voti a esaltare le magnifiche sorti e progressive del globalismo che non accetta frontiere. La frase virgolettata di Renzi è uno di quei capolavori i paraculaggine che, in tempi di globenglish, la gente che piace a quelli che piacciono definirebbe “epic fail”: «Vorrei che ci liberassimo da una sorta di senso di colpa. Noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio. Se ciò avvenisse sarebbe un disastro etico, politico, sociale e alla fine anche economico”. E poi, più giù e con caratteri più grandi: “Noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli, ripetiamocelo. Ma abbiamo il dovere di aiutarli a casa davvero loro”. Dopo poco, con la bufera di reazioni che l’hanno accompagnata, la frase e il post sono stati rimossi dalla pagina del Pd.
Contrordine, compagni. Il Matteo che tutto il mainstream accodato e codino ha sbertucciato per anni sul mantra “aiutiamoli a casa loro” non è mica quel Salvini lì, brutto sporco e pure cattivo? Eh no, stavolta no. E’ il Matteo “giusto”, che anche le poche volte che dice cose giuste ormai fa la figura di quello che sbaglia. Ma nella deliziosa gaffe, dettata più da ansia da prestazione elettorale che da reale convincimento, c’è il senso della sconfitta culturale della sinistra europea: incapace di rispondere alle distorsioni provocate da globalizzazione, tecnologia e immigrazione di massa, a sinistra annaspano tra perenni crisi d’identità e voglia di sancire ufficialmente lo sposalizio con il capitalismo del terzo millennio, tra crepuscolari tentativi di far risorgere un erede nato già aborto dal corpaccione Pci-Pds-Ds e la fascinazione per i polli d’allevamento di banche e finanze in stile Macron. Gli argomenti all’ordine del giorno sui giornali, o quello di cui si parla al bar, ciò che è reale nella vita di tutti i giorni e non sullo schermo dell’ultimo modello di Mac o nei salotti dei quartieri-bene delle grandi città, non appartengono più all’armamentario ideologico, politico e culturale della sinistra rimasta ai tempi di Blair e Clinton né alla sua versione posticciata e modernizzata. Non sanno che dire, al di fuori di una recita buona per una perenne campagna elettorale. E infatti prendono sberle ovunque, a ogni giro di giostra, salvo guardarsi smarriti in faccia chiedendosi il perché. L’egemonia, quella gramsciana, è da tutt’altra parte. Istruitevi, avrebbe detto l’inventore del nazional-popolare, perché avremo bisogno di tutti i vostri like.