Gennaro Malgieri è stato uno degli animatori di Campo Hobbit I a Montesarchio nel 1977. Scrittore, giornalista, a lungo parlamentare della Repubblica, è tra i massimi studiosi del pensiero conservatore e rivoluzionario-conservatore in Italia. Ha fondato riviste di cultura come Percorsi ed è stato direttore del Secolo d’Italia e de L’Indipendente. Ecco la testimonianza pubblicata su campohobbit40.it, a firma di Marina Simeone
Direttore Malgieri, che cosa è stato Campo Hobbit per la destra degli anni 70/80?
“E’ stato il tentativo di amplificare culturalmente un’idea che già da tempo si manifestava in maniera chiusa e perlopiù autoreferenziale, quella di proiettare la Destra oltre se stessa, al di là degli steccati partitici, ben più ambiziosa di quanto fosse il Movimento politico che istituzionalmente la rappresentava. Vale a dire immaginarla impegnata in un processo di aggregazione ideale e culturale, portato avanti soprattutto dalle nuove generazioni, su temi che all’epoca potevano considerarsi “metapolitici” e oggi costituiscono gli elementi di una nuova identità solidaristica, patriottica, nazional-conservatrice. Il momento aggregante che Campo Hobbit indubbiamente rappresentò, spiazzando le vecchie liturgie partitiche, era comunitario nella sostanza e intellettuale nella forma: l’attenzione alle idee, alle nuove scienze, al superamento della logica dell’aut-aut per scoprire in quella dell’et-et un modo nuovo di confrontarsi con chi riteneva la “guerra civile permanente” ineluttabile, insieme con forme espressive incisive e trasgressive allo stesso tempo, dalla musica rock alla grafica, per intenderci, coniugando il tutto con miti e simboli della Tradizione. Tutto questo e molto altro ancora costituì il fondamento di un’esperienza che sarebbe diventata dominante fino a scuotere la stagnazione politica nella quale viveva la Destra istituzionale. Il valore di quel momento durato poi un decennio e declinato in varie forme, contribuì enormemente alla crescita di tutta la Destra il cui dato più importante fu l’abbandono del neo-fascismo come riferimento fondante una comunità attiva che dimostrava con le sue inquietudini una creatività che all’epoca non sempre né da tutti venne compresa, ma che avrebbe dato i suoi frutti nel corso del tempo”.
Ricorrono i settant’anni del MSI e le celebrazioni si succedono un po’ in tutta Italia, ma quella destra sociale che visse durante e dopo i Campi Hobbit viene sempre ricordata?
“Quasi mai, a quanto mi risulta. E’ una deficienza storico-culturale. Probabilmente dovuta alla mancanza di approfondimento o alla distrazione da parte di chi ha privilegiato, rispetto alla mia generazione, un approccio alla politica sganciato da tematiche culturali. I risultati si sono visti. E non sono certo esaltanti. Chi perde la memoria e con essa le radici non ha un futuro. E’ amaro constatarlo, ma nella diaspora della Destra c’è anche questo elemento del quale tenere conto. Forse non importa più a nessuno. Ma di moduli alternativi capaci di dare incisività ad una proposta politica francamente non ne vedo. E me ne rammarico”.
Generoso Simeone è stato un animatore culturale del MSI. Che ricordo ha di lui?
“Generoso, almeno per me, non è stato soltanto un intelligente attivista, un ardito sperimentatore di modi nuovi nel fare politica, un animatore culturale con il senso della storia, un inventore di giornali e di movimenti come quello che si espresse appunto nel Campo Hobbit. Generoso è stato per me un fratello maggiore al quale devo moltissimo in termini di formazione. M’indirizzò verso un modo di concepire la militanza politica come attuazione di un progetto culturale. Avevo già letto Evola quando lo conobbi, e non avevo ancora diciassette anni. Restio a riconoscermi in un partito politico strutturato, fu grazie a lui che “incontrai” il Movimento Sociale Italiano e non me ne sono più distaccato, neppure quando ha assunto altre connotazioni. La generosità che portava iscritta nel suo nome, l’ha dimostrata in ogni momento della sua vita. Soltanto di fronte ai disonorevoli compromessi politici ed ideali si dimostrava per niente “generoso”. Ma quanti prezzi ha pagato per essere sempre se stesso? A cominciare dal rifiuto del piccolo cabotaggio. Si esaltava nel discorrere di idee così come si animava quando c’era una buona battaglia per la quale impegnare energie e risorse, dal tenere in vita il suo giornale “L’Alternativa”, del quale volle che fossi vice-direttore (ed ero men che ventenne), alle più minuscole (ma quanto importanti) lotte in difesa del proletariato (sì, proprio così) contadino sannita… Nel MSI ha sempre fatto sentire la sua voce critica, senza sconti per nessuno. Ma a nessuno è mai venuto in mente di metterlo di discussione, pur dissentendo da lui, riconoscendogli indiscutibili doti morali e civili. Quanto ai ricordi più personali, me li tengo stretti da quando se n’è andato. E sono tanti, tasselli della storia di un’amicizia profonda che si è sviluppata dalle piazze dei più remoti paesini del Sannio a Roma nella tipografia del “Secolo d’Italia” dove lui confezionava “Linea” ed io ero un giovane praticante, alle riunioni politiche nazionali e periferiche e naturalmente nelle nostre riunioni comunitarie innaffiate da abbondanti libagioni e segnate da fumose discussioni intorno agli infiniti progetti sulla Destra dell’avvenire perché credevamo fermamente che un avvenire l’avesse”.
Possono dirsi attuali i fermenti culturali prodotti dalla destra degli anni Settanta e Ottanta, che hanno dato vita a numerose riviste e circoli letterari?
“Senza le esperienze alle quali ci siamo riferiti, la Destra avrebbe esaurito con largo anticipo la sua parabola. Quei fermenti sono attualissimi. Se si avesse l’accortezza ed il gusto di sfogliare le innumerevoli riviste che all’epoca si pubblicavano ci si renderebbe conto della ricchezza immensa di un mondo politico e culturale che ritenevamo potesse e dovesse avere un altro destino. Non citerò nessuno, per non far torto a chi inevitabilmente dimenticherei. Mi limito soltanto a ricordare che la Destra non è stata soltanto “piazze piene e urne vuote”, come diceva qualcuno, e neppure entusiastica ed appassionante militanza pagata a volte con la vita, ma il suo cammino è stato possibile anche grazie a povere e spesso discontinue riviste, a piccole case editrici, ad autori che scrivevano senza vedere un soldo, a giornali prestigiosi ma privi di cospicue risorse economiche, a centri studi nei quali si discuteva animatamente e non del sesso degli angeli, ad intellettuali che consapevoli del loro destino di ostracizzati che s’impegnavano a fondo per dare il loro apporto alla ricostruzione di una certa idea dell’Italia, nel prefigurare un’Europa dei popoli, delle nazioni e degli Stati, nel tenere viva la Tradizione coniugandola con la modernità. C’è stato un periodo in cui era quasi di moda, magari per demonizzarla, parlare di “cultura di Destra”. Ne ho nostalgia. Del resto di fronte all’orrore del vuoto a qualcosa bisogna pure aggrapparsi”.