L’Italia, un paese che sfascia alla grande; lo fa con le sue cose migliori
La Juventus si conquista una finale e troppi italiani le augurano la sconfitta. In giro c’è una contrarietà sfasciste insopportabile. La politica non fa niente per comunicare un diverso clima. Ci sono aziende italiane che fanno cose egregie nel mondo e nessuno le sta sostenendo; ci accorgiamo poi di avere il Pil in crescita, quasi meravigliandoci. C’è un’Italia che esporta e innova; non sappiano tenerne conto. Dal Sud dichiara un imprenditore pugliese, “Non sempre purtroppo si riesce ad ottenere un corretto riconoscimento del valore delle produzioni.” Dal Nord, conferma un’imprenditrice bolognese, “I nostri operai non hanno rivali. Il sistema va aiutato con un nuovo piano Marshall per la formazione.” L’Italia insomma non sa riconoscersi.
Trascuriamo ciò che sappiamo fare
Ogni giorno è un allargamento dell’oblio. Sembra che la parola d’ordine sia: dimenticare. Per contrastare ciò, la cultura può fare la sua parte. Che evento intelligente è quello dedicato ai cento anni della Rinascente. L’esposizione, ‘Rinascente. Stories of innovation’ è il racconto di una risveglio italiano in cui riconoscere la capacità del paese di ripartire. Un assortimento di quadri, di grafiche, di design narra l’intelligente creatività italiana. Però le mostre finiscono, poi ritornano i giorni della dimenticanza. I nuovi partigiani sorvegliano le redazioni, le sedi dei partiti, i siti on line. Torna l’oblio, si ricomincia a sfasciare.
I docenti per insegnare la comunità nazionale
La scuola dovrebbe offrire uno spazio diverso alla storia nazionale. Invece tanti docenti insegnano generici scenari storici. C’è poco tempo per le narrazioni nazionali. Oggi i manuali di Storia rappresentano il frutto di un globalismo storiografico. Invece gli studenti collocano poco sulla linea del tempo della nostra nazione. Se provassimo a chiedere ad un giovane di riconoscere i simboli o gli eventi della nazione, avremmo come risposta una grande confusione. Cioè, ritroveremmo un Garibaldi in pieno Settecento o un Giolitti confuso con De Gasperi. Per questo alla storia andrebbe ridata una nuova rilevanza didattica. Poche ore di tale disciplina – e fatte male – fanno ridere. Insegnare quindi le sorti italiane: insegnarle con atteggiamenti critici costruttivi.
Per non essere dei cocci
Non sappiamo riconoscerci come nazione. Siamo diventati come i personaggi dell’ultimo libro di Pietrangelo Buttafuoco, ‘I baci sono definitivi’. Siamo pendolari affrettati, assonati, distratti che viaggiano, sospirano, scappano. L’anonimato delle stazioni e l’indifferenza delle metropolitane dicono la fuga dalle identità. Gli italiani, come i romani di Buttafuoco, hanno perso le loro ombre sulla ‘Linea A, Battistini atrio, ore 06.04.’ In più. Italiani, vi sentite come dei cocci senza sapere che “i cocci si perdono tra le terraglie” ma dopo “i cocci fanno di tutto per tornare insieme. S’incollano per combaciarsi dentro. Definitivamente.”
Boldrini miope e i soldati della pace
Sfilano i nostri militari, per onorare la repubblica, alcune alte cariche dello Stato non applaudono. Che sarà? Alla Boldrini non piace la robusta marcia della Folgore? Forse quei soldati appaiono troppo guerrieri? La Boldrini non sa che quei ragazzi, nelle missioni internazionali, sono ritenuti portatori di pace, sono gli specialisti del peacekeeping, sono parte di quei settemila soldati che operano per la sicurezza internazionale. Proprio i ragazzi della Folgore hanno il mitra in una mano, nell’altra il dizionario della lingua del paese in cui lavorano e rischiano; un piccolo dizionario grazie al quale colloquiare con la popolazione locale; e così succede perché i parà della Folgore restano i figli della cristianità italiana. Eppure la Boldini non li riconosce o non li ha visti; forse è miope.