Pubblichiamo una lettera aperta di un militante a Gianfranco De Turris ed alla Fondazione Julius Evola, con la risposta dei diretti interessati in merito all’interpretazione di alcuni elementi della vita del Barone
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Caro Barbadillo,
questa è una lettera aperta rivolta alla Fondazione J.Evola ed a Gianfranco De Turris in particolare, la lettera personale di un semplice militante del “Fronte della Tradizione” che intende chiarire e rettificare la propria posizione ed alcune confusioni in merito alla polemica sul quarantennale del Barone, forse giudicata da molti inutile e deleteria, ma importante per tutti coloro hanno Evola come punto di riferimento e che quindi ritengono fondamentali certe questioni e l’opera di coloro che continuano nonostante tutto a tenersi in piedi fra le rovine ed a testimoniare il pensiero della Tradizione nella decadenza generale.
Forse sarebbe il caso di cominciare questo scritto col citare il famoso proverbio che “solo gli stolti non cambiano mai idea”… Bene, siccome non mi considero uno stolto, e d’altro canto ritengo di saper ascoltare, ragionare e valutare con la mia testa ciò che gli altri, soprattutto se sono persone che stimo e rispetto come De Turris, mi propongono, allora devo essere sempre in grado di saper ripensare, pesare, e prendere delle responsabilità e a volte anche cambiare, seppur magari solo parzialmente, idee…
Questa premessa serve al fine di spiegare quello che sto per scrivere e in qualche modo fare ammenda su ciò che ho esposto nei commenti all’articolo in merito alla Fondazione Julius Evola ed alle relative polemiche mosse al convegno sul quarantennale del Barone. Altra premessa: considero ciò che ho scritto precedentemente come una legittima posizione, assolutamente personale seppur non personalistica, che muove da considerazioni assolutamente e solamente di carattere tradizionale, non ideologiche o politiche o altro, quindi considero l’impianto ed i principi da cui ho proceduto per le mie critiche totalmente validi e non negoziabili in quanto derivati dalla dottrina esoterica e della Tradizione universale così come esposta da René Guenon soprattutto, mio assoluto e primario punto di riferimento.
Il convegno Evola-Guenon
Questo l’antefatto ora vengo al fatto. Nel convegno intitolato “Per una biblioteca della Tradizione Tre recenti volumi tra Evola e Guénon” tenutosi nella stupenda Badia di S. Sebastiano ad Alatri, convegno organizzato dalla Fondazione Evola e dalla Fondazione l’Abbadia, ho avuto un serrato quanto stimolante e proficuo colloquio a quattr’occhi con Gianfranco de Turris in particolar modo ed anche col professor Giovanni Sessa, grande interprete dell’Evola filosofo. Ovviamente io ho esposto al de Turris le mie vedute sul quarantennale, che già nei commenti all’articolo in questione avevo tracciato, e dopo poco ho avuto la prima sorpresa, infatti sono stato subito “sgamato” in quanto sia de Turris che Sessa avevano letto i commenti presenti su Barbadillo e quindi hanno immediatamente capito chi era che gli poneva gli stessi dubbi. Io non avevo premesso questo fatto sia perché per mia indole impersonale ed anti-egocentrata non credevo ce ne fosse bisogno, sia perché volevo che le risposte di de Turris fossero il più possibile libere e non condizionate da quello che avevo scritto in interventi che seppur rispecchiano le mie vedute generali sono pur sempre delle esposizioni emotive, parziali e grossolane come possono esserle quelle di un commento estemporaneo ad un articolo. Ovviamente subito sia de Turris che Sessa hanno dichiarato la loro contrarietà a quanto avevo esposto rimproverandomi di essermi basato non sull’analisi degli Atti del Convegno ma su delle critiche mosse da terze parti alla Fondazione e quindi non probanti in alcun modo delle mie posizioni in merito.
Allora io tengo subito a precisare che il mio “impianto accusatorio” non verteva in alcun modo sull’analisi e le recensioni che altri avevano fatto al convegno, in quanto solo successivamente avevo letto tali critiche di terzi, ma le mie posizioni erano e sono solamente il risultato della mia conoscenza dell’opera pubblica e dell’epistolario parziale di Guénon soprattutto, e quindi frutto in pratica dell’applicazione che personalmente faccio dei principi della Tradizione, in seguito devo dire che le mie accuse non necessitavano per forza di cose della lettura degli Atti del Convegno in quanto non ponevo in discussione in nessun modo che ci fosse stata una azione di “inquinamento” del pensiero evoliano nei modi di una esposizione “revisionista” degli stessi nel convegno, che seppur ci fosse stata andrebbe solo annoverata fra le varie interpretazioni che chiunque dei relatori avrebbe potuto dare a titolo personale, ma i miei dubbi vertevano solo su questioni “di principio” e cioè sul fatto che non condividevo la scelta di associare il nome di Evola e la sua opera ad un organizzazione come quella dell’Accademia Nazionale dei Filateti diretta espressione dell’Ordine di Memphis e Misraim, un “Ordine” che io tutt’ora continuo a considerare di Massoneria deviata, irregolare, in definitiva anti-tradizionale così come anche il buon Guénon scrisse in una lettera che qui si può visionare.
Detto ciò de Turris mi spiega in maniera netta e chiara ciò che pensa, cioè che le accuse sono solo il frutto di una lettura settaria di quel convegno, in cui nessun opera di “contaminazione” evoliana è avvenuta, e che semplicemente essendo compito della Fondazione la divulgazione delle idee e del lavoro di Evola, anche in ambito accademico, così come volontà espressa dallo stesso Evola, e ritenendo la Fondazione di svolgere questo lavoro anche in ambienti magari estranei alla visione strettamente “tradizionalista”, sempre che questi ambienti siano in grado di garantire un’ esposizione libera e rispettosa, senza censure, dell’opera e del pensiero tradizionale, allora in ogni caso del genere non si dovrebbe vedere il motivo per cui tale esposizione non si debba fare, questo il sunto di quello che de Turris mi risponde in merito alla questione dell’Accademia dei Filateti.
In seguito proseguii ad esporre altre critiche in merito ad una, secondo il mio punto di vista evidente, tentata azione di avvicinamento fra le idee di Evola e quindi della Tradizione tutta a quelle di personaggi e “fratellanze” di carattere “neo-spiritualista” come quelle di derivazione antroposofica, teosofica e kremmerziana, pericolo che il Guénon e lo stesso Evola previdero fin dalla loro attività in vita. Anche qui le risposte di De Turris sono state chiare, smentendo che da parte loro ci fosse in alcun modo un’ intenzione del genere e che se dei riferimenti a tali personaggi come Scaligero, Kremmerz, Colazza ci sono state ultimamente, queste sono solo il frutto di una ricerca storica e dei documenti portata avanti dalla Fondazione e da de Turris in particolare, volta a chiarire alcune vicende oscure e poco conosciute della vita del Barone, vicende esposte da de Turris nel libro Julius Evola. Un filosofo in guerra 1943-1945 presentato all’evento a cui ho partecipato, e che riguardano fatti personali di quegli anni della vita di Evola, molti inediti al pubblico, e rapporti con i personaggi sopracitati (supportati da documenti ed epistolari), personaggi con cui Evola non solo era in contatto ma con cui aveva un rapporto di personale amicizia e di stima anche, almeno questo è quello che risulta, ma che comunque non influirono in alcun modo sul pensiero e sulle opere e quindi sul carattere del pensiero tradizionale di Evola.
Allora su quest’ultimo punto è necessario dire, e devo personalmente ammettere, che se delle riserve si possono avere su certi personaggi e correnti, riserve che per quanto mi riguarda ho a iosa, queste riserve non possono essere in alcun modo proiettate sul lavoro di ricerca e testimonianza della Fondazione Evola, ma semmai possono essere a mio parere questione di un ripensamento individuale ed interiore, della visione e comprensione che si possiede di Evola e della sua opera, insomma ognuno può e deve trarre da tali ricerche che giustamente e con merito la Fondazione porta avanti, le proprie libere conclusioni sul pensiero tradizionale, sulla interpretazione ed applicazione dello stesso da parte di Evola, e sui personaggi trattati nelle vicende prese in considerazione.
Per concludere quindi intendo fare ammenda e rettificare le mie posizioni non riguardo i principi ed il contenuto di quanto avevo espresso, ma riguardo la direzione che avevo dato a tali accuse, direzione sbagliata in quanto certe questioni non possono essere in alcun modo imputabili alla Fondazione J. Evola ed al lavoro da essa svolto, che invece sta portando alla luce delle vicende non secondarie della vita del tradizionalista romano, fatti che però possono sicuramente porre delle domande, dei dubbi, che chiunque si senta parte e testimone di quella Patria Ideale che è la Tradizione può e deve confutare con se stesso, ed a cui può rispondere secondo il grado e la conoscenza che si ha della Tradizione stessa, e se proprio non si possono considerare edificanti certe frequentazioni e contatti “neo-spiritualisti”, la questione non può riguardare in alcun modo la Fondazione J. Evola, ma solo noi stessi ed il Barone medesimo.
Rimango comunque aperto ad ulteriori correzioni a ciò che ho scritto nel caso non avessi riportato in modo chiaro e veritiero alcune cose, in buona fede e con il massimo rispetto e stima.
Stefano, un semplice “militante”.
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La risposta della Fondazione Evola e di Gianfranco de Turris
La Fondazione Evola in generale e il sottoscritto in particolare, ma anche coloro che ad essa fanno riferimento, non sono mai stati ostili per principio nei confronti di alcuno, a parte quelli che sono in chiara mala fede e parlano con evidente partito preso malevolo scrivendo falsità. La Fondazione e il sottoscritto è molto raro che inizino una polemica tanto per farne una e magari soltanto verso chi la pensa diversamente, ma in genere si limitano a rispondere a chi le polemiche le inizia per motivi spesso inconprensibili.
Una discussione o una diatriba sono utili se portano a qualcosa di fattivo, magari costruttivo, non se sono distruttive, e ciò può avvenire solo se la controparte è in buona fede, se, come scrive ora Stefano nella sua “lettera aperta” è in grado di “saper ascoltare, ragionare e valutare con la mia testa” e di conseguenza di “saper ripensare, pesare, e prendere delle responsabilità e a volte anche cambiare, seppur magari solo parzialmente, idee”. Così si fa, non soltanto se non si vuol avere ragione a tutti i costi anche scontrandosi con la realtà, ma se si vuole lavorare in un certo ambito anche se su piani differenti.
Quel che Stefano adesso ci scrive, dopo il colloquio che riferisce in termini corretti, e prima che uscisse sul sito della Fondazione una lunga e polemica risposta ai suoi rilievi apparsi su Barbadillo è molto diverso nel tono e nei ragionamenti dalle sue posizioni iniziali, e questo gli fa onore. Se quanto spiegato e quanto esposto nei nostri scritti lo ha sorpreso e lo ha indotto ad un ripensamento sul tradizionalismo di Evola, è un problema interiore e personale, come giustamente scrive. Se certi momenti della vita di Evola lo sorprendono e lo meravigliano e in base a ciò si sente più attratto dalla via della Tradizione di Guénon non ci sono problemi, basta che si senta tranquillo spiritualmente di aver imboccato la direzione più giusta per lui. Ma ci sembra un pochino eccessivo farsi condizionare dai rapporti personali, dalle amicizie e dalle frequentazioni, magari dagli interessi di un filosofo che comunque non ha inquinato le proprie idee. Per questo motivo Guénon, spirito metafisico e contemplativo è più “tradizionale” di uno spirito attivo e battagliero come Evola? Avere oggi, poniamo, un vecchio amico comunista, o anarchico o liberale, apprezzarlo, parlare con lui, avere interessi non ideologici in comune, tenere in considerazione e magari adottare la sua strategia gramsciana di “egemonia culturale”, significa squalificare la nostra “visione del mondo”? Se si è saldi nelle proprie convinzioni, non bisogna avere timore di nulla. Quando si è giovani si è molto, ma molto intransigenti, poi magari si cambia un po’…
Come abbiano spesso detto e scritto, e qui ripetiamo per l’ennesima volta, non è che pensiamo male dei “militanti”, o addirittura li disprezziamo, anzi riteniamo che si possa lavorare proficuamente su piani diversi ma paralleli in questo mondo non più di rovine, ma di macerie e desertificato. Quel che si vorrebbe è che almeno, come ha scritto Stefano qui, sapessero “ascoltare, ragionare e valutare con la loro testa” e di conseguenza sapessero “ripensare, pesare, e prendere delle responsabilità e a volte anche cambiare, seppur magari solo parzialmente, idee”. In una società di presuntuosi analfabeti sarebbe moltissimo.
Insomma, se i “militanti” non attaccassero a testa basta e irrazionalmente tutti coloro che non interpretano Evola come lo fanno loro lanciando accuse strampalate e non provate, e invece ragionassero (e leggessero) come fa Stefano, forse le cose andrebbero meglio e le energie di tutti potrebbero trovare uno sbocco più proficuo e positivo per tutti.
Fondazione Julius Evola/Gianfranco de Turris